FREE FALL JAZZ

Rinasce dopo ben 24 anni questo disco, ora ristampato in CD e passato a suo tempo, ingiustamente, inosservato. Si tratta di una registrazione prodotta da Roberto Zorzi (non è un mio parente!!!), chitarrista e direttore artistico di quello che era un valente Festival: Verona Jazz. L’idea era nata come occasione di incontro per “fare nascere qualcosa” in un momento forse di stanca della musica jazz. Certo che, con musicisti del genere, le premesse erano sicuramente ottime: il trombone di Albert Mangelsdorff, il sax soprano di Roberto Ottaviano, il piano di Franco D’Andrea, il cello di Ernst Reijseger, le percussioni di Trilok Gurtu, il basso di Paolo Damiani, le chitarre di Roberto Zorzi e Riccardo Bianchi e la batteria di Alberto Olivieri (altro produttore) avevano tutte le prerogative di far “succedere” qualcosa. Fanno sorridere un po’ le note di copertina di Franco Fayenz riguardo la mancanza di fantasia e coraggio da parte degli organizzatori di Festival per proporre novità come questa, che registrò senza neanche un concerto: e pensare che si parla del 1989! Comunque grande idea questa della Caligola Records di riportare alla luce una registrazione “storica”: io sono uno di quei pochi che ha ancora il vinile, anche come tributo al grande musicista che fu Albert Mangelsdorff. Il CD si apre con un bel tema di Franco D’Andrea, come sempre raffinato, che assieme a Damiani forma un tappeto su cui il cello di Reijseger ricama con la solita ironia, per poi svilupparsi in una sequenza di fiati e sfociare in un break di sole percussioni. Più “pugnace” il secondo pezzo a firma di Damiani, che partendo da vari effetti tra elettronica, chitarre e cello si sviluppa in maniera più funky, con grandi puntualizzazioni del soprano di Ottaviano e ancora di Reijseger. Il terzo pezzo, il migliore del lotto, è a firma di Mangelsdorff. L’introduzione rispecchia l’estetica del trombonista che, accompagnato da piccole note al piano, introduce la parte centrale con quest’ultimo strumento come protagonista e le tabla di Gurtu come controcanto. Il quarto pezzo, a firma ancora di Damiani, dopo un interessante introduzione di Ottaviano e Mangelsdorff perde di intensità, lasciando però un grande assolo di D’Andrea. Anche il tema conclusivo, a firma di Ottaviano, nonostante un’ottima introduzione si lascia coinvolgere in un manierismo post-bop troppo datato. Bene tutti i musicisti, ma un gradino più in alto Ernst Reijseger, capace di emozionare con il suo cello sia quando usa l’arco che quando lo pizzica o lo suona come una chitarra. E bene ad operazioni del genere, anche perché non troppo nostalgiche, che (ri)fanno scoprire cose piccole, ma importanti, che hanno contribuito a fare grande il jazz europeo (considerando che Gurtu era di casa in Italia già negli anni settanta con il gruppo Aktuala). (Maurizio Zorzi)

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