FREE FALL JAZZ

Archive for " giugno, 2015 "

Davvero insolito questo ottetto, capeggiato dalla brava Kris Davis al piano e autrice dei brani del CD. Oltre la stessa Davis ci sono Gary Versace all’organo, Nate Radley alla chitarra, Jim Black alla batteria e ben quattro dei più famosi e bravi clarinettisti: Ben Goldberg, Oscar Noriega, Joachim Badenhorst e Andrew Bishop. La musica che si ascolta nel cd, è di grande complessità strutturale, merito della scrittura della Davis, che muove con facilità e incastra alla perfezione le diverse anime del gruppo. La batteria di Black inserisce un’energia di matrice rock dura, cosa tra l’altro già confermata nel proprio gruppo Actuality, l’organo aggiunge colore alle atmosfere dark che i clarinetti realizzano (quando tutti sono al clarino basso), la chitarra sembra distaccarsi dal resto (forse unico neo), e il piano della Davis puntualizza, lasciando agli altri molto spazio. (Continua a leggere)

Ricordo ancora come fosse ieri il mio primo acquisto di un suo LP, incuriosito dopo aver letto da buon neofita su “Jazz” di Polillo la sua monografia. Fui fortunato, perché trovai subito una edizione originale rara del concerto registrato alla Town Hall in trio con David Izenzon al basso e Charles Moffett alla batteria per la ESP, nel 1962, giusto prima del suo lungo ritiro dalle scene sino al 1965. (Continua a leggere)

Nato come duo, il nome prende l’ispirazione dalla composizione di Wayne Shorter ‘Footprints’, e allargatosi a quintetto per questo concerto, è indubbiamente un tributo alla musica di Shorter. Ma il gruppo, oltre a Lovano e Douglas, ci sono il pianista Lawrence Fields, la bassista Linda Oh (un nome da tenere a mente) e il valido batterista Joey Baron, non si presenta solo come un “supergruppo”. In effetti nel disco, registrato dal vivo al Festival di Monterey, oltre due belle composizioni di Shorter, forse le meno conosciute (‘Destination Unknown’ e ‘To Sail Beyond The Sunset’) e di materiale inedito, scritto da Lovano, il gruppo si presenta come una vera entità. (Continua a leggere)

All’inizio sembrava una bufala, ma poi la conferma è arrivata prima da musicisti come Christian McBride, e poi infine dal New York Times: Ornette Coleman è morto per un arresto cardiaco questa mattina, a Manhattan. (Continua a leggere)

In attesa di poterci gustare il nuovo disco di James Brandon Lewis, ci possiamo distrarre con questa bella esibizione dal vivo, assieme ai fidi Max Johnson e Dominic Fragman. Da notare il posto, ovvero la Downtown Music Gallery, rinomato negozio newyorkese che fa pure da distributore e, più recentemente, casa discografica.


Dopo averlo visto a Mestre nel novembre scorso, ero certo che il nuovo disco sarebbe stato un ulteriore passo in avanti della ricerca creativa. Se il concerto  con i Five Elements riprendeva il discorso iniziale della filosofia M-Base, in questo disco il discorso si allarga, anche dalla presenza, oltre dei Five Elements, di musicisti che ruotano intorno alla cerchia di Coleman, arrivando a sommarne 22. Il disco, che è incentrato sulla Synovial Joints Suite (vedi le note di copertina riportate sotto), rappresenta sicuramente il picco creativo della musica di Coleman, che dopo prove anche troppo prolisse, sembra definire una nuova ricerca del musicista. (Continua a leggere)


Estate, periodo tradizionale di grandi festival musicali, in particolare del jazz, almeno così si dice. Già, perché di jazz da parecchio tempo se ne sente sempre meno e per svariate ragioni. A fronte di affermazioni di questo genere il minimo che può capitare è sentirsi dare del retrivo conservatore, del “purista” vecchio ed ottuso e pure un po’ rincoglionito, insomma uno che non sta al passo con i tempi, perché il jazz, secondo vulgata, è ormai un linguaggio universale fuso con altri linguaggi musicali. (Continua a leggere)

Preceduto da recensioni entustiastiche e un ottimo piazzamento nel referendum annuale della Rivista Musica jazz con un terzo posto riguardo i dischi italiani, l’occasione di ascoltare questo ensemble di ben 13 elementi è stata data dal circolo Caligola, anche editore del disco in questione. Rispetto alla formazione del disco qualche variazione: manca dla tromba di Rubegni, che però è stata colmata da ri-arrangiamenti, sostituendola con la tuba e il bombardino di Masetti. La presenza di strumentisti come Piero Bittolo Bon, Beppe Scardino, Francesco Bigoni, Pasquale Mirra e Alfonso Santimone, ormai più che conferme della scena jazzistica italiana, non poteva che scaturire in un bellissimo progetto. (Continua a leggere)

Il nuovo disco di Terence Blanchard mette in evidenza fin dalla copertina il nome della neonata band, E-Collective, come a segnare un nuovo inizio. E in effetti dei fedeli accompagnatori che avevano seguito il trombettista nell’ultimo decennio troviamo solo l’ultimo arrivato, il pianista Fabian Almazan; per il resto, gruppo nuovo vita nuova, e ovviamente musica nuova. Musica elettrica, perché quella “E” non ci sta per figura. Tromba, chitarra, tastiere, basso elettrico e batteria sono i protagonisti di un album che si tuffa decisamente in una direzione neo-soul e funky, con tanto ritmo in backbeat e un passo spedito. Festa grande, vero? In realtà, stavolta, non c’è molto di cui gioire, perché l’insieme è inferiore alla somma delle parti. (Continua a leggere)

“Sile Jazz” è una rassegna di concerti nata nel 2012 e oramai conosciuta nella Marca Trevigiana, organizzata dall’etichetta trevigiana nusica.org, con direzione artistica del bassista Alessandro Fedrigo e del sassofonista Nicola Fazzini, con la collaborazione dello studio_15 design di Preganziol (TV) e della Scuola di musica “Thelonious Monk” di Mira (VE). Vede il sostegno dei Comuni aderenti, di Parco del Sile, Provincia di Treviso, Regione Veneto nonché la partecipazione di alcuni sponsor privati: Galliano Caffè, TREVISOSTAMPA, Perlage, B&B il Bruscandolo, Avis Morgano, Pànchic, Sparkasse Cassa di Risparmio, BW PREMIER BHR Treviso Hotel, Gioja Lounge Bar e Osteria DiVino. (Continua a leggere)

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