Si è parlato per anni di un documentario su Nina Simone. Oggi ‘What Happened, Miss Simone?’ è realtà: diretto dalla premiata Liz Garbus è stato mostrato al pubblico una prima volta all’ultimo festival di Sundance e poi venerdì scorso, in alcuni cinema selezionati e soprattutto su Netflix. (Continua a leggere)
Si chiama ‘The Conduct Of Jazz’ il nuovo disco di Matthew Shipp, in uscita il prossimo ottobre su Thirsty Ear. Oltre a Shipp e al fedele bassista Michael Bisio, è della partita il batterista Newman Taylor Baker, già con Henry Threadgill, Leroy Jenkins, Billy Harper e tanti altri. (Continua a leggere)
Un cast stellare con Clark Terry, James Moody, Zoot Sims, Dizzy Gillespie, Coleman Hawkins, Benny Carter, Teddy Wilson, Bob Cranshaw, Louie Bellson e T-bone Walker non avrà mica bisogno di un’introduzione, vero?
Autore di uno dei più bei dischi del 2015, EJ Strickland è uno dei più bravi e interessanti batteristi di oggi, tanto richiesto in giro quanto inconfondibile. Assieme al gemello sassofonista Marcus, uno dei nomi su cui puntare per il presente e il futuro di questa musica. E come spesso succede, EJ è pure una persona molto gentile e accetta di buon grado qualche domanda! (Continua a leggere)
Il Jazzit Fest nasce nel 2013 per iniziativa di due piattaforme editoriali, Jazzit e Il Turismo Culturale, con l’ambizione di dimostrare che senza alcun costo per i contribuenti e attraverso una scala di valori etici si possa creare un festival destinato a riconvertire un territorio – nello specifico quello di Terni – da un’industria “pesante” a un’industria “leggera”: quella del sapere, della sostenibilità ambientale, della cultura, del gusto, dell’arte, delle start-up creative, del turismo, del patrimonio delle tradizioni enogastronomiche, del paesaggio, dell’etica e della cittadinanza attiva. (Continua a leggere)
Il nome di Gunther Schuller è noto a molti, fra gli appassionati di jazz, pur non trattandosi di un jazzista vero e proprio – era, anzi, un vero e proprio compositore accademico. Ma il buon Gunther ha fatto la sua parte per il jazz: i suoi libri sulla musica degli anni ’20, sull’età dello swing e i suoi articoli pionieristici sono stati i primi esempi di una musicologia nuova, che cercasse di analizzare il jazz sulla base delle sue regole, aprendo uno spiraglio. (Continua a leggere)
Quando, fra la fine degli anni ’60 e l’inizio della decade successiva, Miles Davis incise una serie di album in studio per avvicinare la sua musica al funky, aprì un vaso di pandora i cui effetti si avvertono ancora oggi. Fra questi, l’utilizzo dello studio come ulteriore strumento di registrazione: lunghissime jam strumentali poi sottoposte ad un paziente lavoro di taglia, incolla, smonta, rimonta, duplica, moltiplica, isola, manda in loop etc per dare un significato del tutto nuovo al materiale di partenza. Fu l’inizio, involontariamente, del modus operandi dell’hip-hop, che dal jazz discende e che al jazz ritorna, grazie a tanti bravissimi giovani musicisti. Fra questi pure il batterista Makaya McCraven, che fa suo il metodo di Miles Davis e Teo Macero applicandolo a quarantotto ore di jam. (Continua a leggere)
Keith Jarrett scrive un altro capitolo della sua ormai lunga storia dedicata al piano solo improvvisato, inaugurata sin dai primi anni ’70, con questo Creation da poco pubblicato da ECM. Molto tempo è passato da allora e naturalmente la sua musica è cambiata, esattamente come è cambiato il mondo attorno all’artista, oggi settantenne, seguendone perciò l’evoluzione temporale. Il suo approccio allo strumento evidentemente non può (e non vuole) essere più lo stesso di quei primi anni. In qualche modo la musica, passo dopo passo, rispecchia e fotografa lo stato del musicista stesso, tanto più in questa formula dell’esibizione in solo, così coinvolgente ed individuale, che più di altre ne mette a nudo lo stato mentale, spirituale e, non ultimo per importanza, quello fisico. (Continua a leggere)
Pochissima musica, stavolta, ma una piccola conferenza da parte di Wayne Escoffery. Il sassofonista, visto di recente in Italia al BAM Festival, parla di jazz al Barnad College di New York, di come sia parte integrante della cultura americana, e di come vorrebbe vedere più gente, neri in particolare, ai concerti di jazz – perché, come nota giustamente, Duke Ellington, Miles Davis o Sonny Rollins sono figure importanti quanto Martin Luther King. Il video è inserito nel circuito TED, un programma di conferenze svolto in varie parti del mondo incentrato sulle “ideas worth spreading”.
Lo avevo ascoltato dal vivo l’altr’anno al Jazz&Wine di Cormons, rimasi molto impressionato dalle qualità solistiche ed improvvisative ma, allo stesso tempo, rimanevo molto dubbioso sulla capacità compositiva. Troppi i rimandi a famosi pezzi di gospel, dove dopo una esposizione del tema il nostro si scatenava su cavalcate improvvisative torrenziali, cosa che veniva confermata anche sul disco, dove nonostante la presenza di William Parker e Gerald Cleaver, l’esplosività del suo sax veniva penalizzata dalla restrizione temporale del cd. Invece qui siamo in presenza di titoli strutturati, 19 in totale, dove è autore di tutti i brani ad eccezione di uno, per durate che arrivano fino al massimo di 7 minuti. (Continua a leggere)