FREE FALL JAZZ

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Donald Edwards si era segnalato con merito un paio di anni fa, con la pubblicazione del magnifico ‘Evolution Of An Influenced Mind’. Si trattava di un album moderno ed evoluto, ricco di composizioni originali e varietà stilistica, ma sotto il segno della particolare visione del batterista, desideroso di tradurre in musica tutto ciò che lo ha influenzato. In questo senso, il nuovo disco è una continuazione perfetta del precedente, tanto dal punto di vista sonoro che concettuale: stavolta sono esaminati i passaggi cardine della vita, soprattutto per mezzo di una suite in sette parti che occupa la prima metà dell’opera. Il sestetto di ‘Evolution’ è confermato quasi interamente, quindi possiamo godere nuovamente delle complesse interazioni di Walter Smith III (sax), David Gilmore (chitarra) e Orrin Evans (piano), spinti in avanti dalla nervosa batteria del leader. (Continua a leggere)

Il concerto che segue è parte dell’esibizione della splendida band di Eric Harland, portentoso batterista, immortalata nel disco ‘Eric Harland Voyager: Live By Night’. Un gruppo strepitoso (oltre al leader troviamo Walter Smith III al sax, Taylor Eigsti al piano, Julian Lage alla chitarra, Harish Raghavan al basso) in una performance energica e fantasiosa di grande jazz moderno.


Pianista dallo stile sobrio ed elegante, Danny Grissett si è fatto conoscere in primo luogo per la lunga militanza nel quintetto di Tom Harrell, con cui ha inciso diversi ottimi album, nonché al fianco di Jeremy Pelt, Jimmy Greene, Lage Lund e molti altri. Può vantare anche una consistente discografia da leader, di cui ‘The In-Between’ è il quinto capitolo. Cinque standard, incluse belle versioni di ‘Stablemates’, ‘The Kicker’ e ‘How Deep Is The Ocean’, e cinque brani originali, una notevole varietà di situazioni e atmosfere, ma la comune volontà di esplorare le premesse del tema tenendosi vicini al carattere emotivo del tema stesso, prendendosi tutte le libertà del caso con la forma: è questa, ascolto dopo ascolto, la sensazione che si ricava. (Continua a leggere)

Con ‘Reminiscent’ Dayna Stephens rivede un’idea un tempo molto popolare, quella della “tenor battle”. Su questo tipo di registrazioni si dovrebbero dipanare un bel po’ di quei luoghi comuni che le riducono a blowin’ session tutte tecnica e zero contenuti. In realtà le tenor battle funzionano bene quando i musicisti sono ben assortiti e complementari, capaci cioè di completarsi a vicenda nel suono e nel fraseggio, creando così una tensione positiva. E’ ciò che succede in questo lavoro d’ampio respiro, in cui Stephens e il bravissimo coetaneo Walter Smith III collaborano per esaltare l’atmosfera, i colori, le implicazioni melodiche dei temi, originali e non, assieme ad una sezione ritmica deluxe composta da Aaron Parks (piano), Mike Moreno (chitarra), Harish Raghavan (basso) e Rodney Green (batteria).  (Continua a leggere)

Walter Smith III è noto innanzitutto grazie al suo ruolo di sassofonista nel gruppo di Ambrose Akinmusire, di cui è grande amico da anni. Oltre a comparire su varie registrazioni in veste di sideman, Smith può vantare pure una discografia a suo nome, non particolarmente folta, ma sempre di elevata qualità, di cui ‘Still Casual’ è il quarto e più recente capitolo. Ad accompagnarlo troviamo una gruppo di fidati amici del suo giro: il pianista Taylor Eigsti, il chitarrista Matthew Stevens, il bassista Harish Raghavan, il fantastico Kendrick Scott alla batteria. Con un simile cast, Smith scrive una decina di brani adatti a mettere in risalto le qualità di tutti, lavorando su un suono complessivo imponente e ricco di sfumature, dove momenti energici e riflessivi convivono senza sforzo, pure all’interno dello stesso pezzo. (Continua a leggere)

Eric Harland è uno dei migliori e più ricercati batteristi della sua generazione, e a ragione, vista la grande adattabilità e lo stile originalissimo e subito riconoscibile. Con ‘Vipassana’, Eric presenta al completo la band Voyager, già comparsa nell’ottimo esordio ‘Live By Night’, spingendo ancora oltre la sua personale visione di jazz come trampolino di lancio per l’esplorazione di altri orizzonti sonore, hip-hop e neo soul in particolare, ma non solo. Ogni brano presenta una cellula tematica ben caratterizzata e minimale, un mattoncino che poi viene utilizzato dalla band per dare vita a brani ritmati e avvincenti. Harland adotta groove potenti impegnandosi in progressive microvariazioni, quasi come un beatmaker hip-hop, il piano di Taylor Eigsti crea armonie estremamente ampie e risuonanti, il basso ancora il tutto con ostinati potenti, chitarra (Julian Lage) e sax (Walter Smith III) fluttuano sulla sezione ritmica tessendo linee ariose, ben connesse col tema e ricche di botta e risposta. (Continua a leggere)

Per il NEXT Collective si può rispolverare l’antica definizione di supergruppo. E’ una cattiva abitudine del rock, tipica di musicisti senza più idee nè stimoli che provano ad attirare la sommatoria dei rispettivi fan per restare sulla cresta dell’onda: ne escono spesso ciofeche come Black Country Communion o Superheavy (giusto per citare cose recenti). Non è questo il caso del NEXT, fortunatamente, anche se è necessario spendere qualche altra riga di introduzione. Questo gruppo è stato fortemente voluto dal produttore Chris Dunn, che ha fatto una proposta ad un manipolo di giovani stelle del jazz odierno (tutti già su Concord o sul punto di diventarlo): l’aggiornamento del Real Book con l’introduzione di nuovi standard nel tentativo di vincere la madre di tutte le guerre, ovvero riportare i giovani al jazz (o viceversa). Se l’idea in sè non è nuovissima, vedi Bad Blus o Brad Meldhau, dobbiamo dire che il risultato conseguito dal NEXT è davvero fresco e interessante. (Continua a leggere)

Apprendiamo dai profili Facebook di Walter Smith III (sax) e Ben Williams (basso) che è in arrivo un nuovo, interessante progetto su Concord Records: il NEXT Collective, di cui faranno parte anche Logan Richardson (sax contralto), Matt Stevens (chitarra), Jamire Williams (batteria), Gerald Clayton e Kris Bowers (piano), e Christian Scott (tromba). (Continua a leggere)

Un titolo intrigante, una copertina in tono, un esordio (‘Prelude… To Core’) di buonissimo livello e un’impegnativa e gratificante carriera da sideman iniziata nientemeno che alla corte di Steve Coleman: le aspettative per l’esordio su Blue Note di Ambrose Akinmusire, trombettista di soli ventinove anni, sono piuttosto alte. Affiancato da altri giovani amici/musicisti (Walter Smith III al tenore, Gerald Clayton al piano, Harish Raghavan al contrabbasso e Justin Brown alla batteria) di comprovata intesa, Ambrose si lancia in un’opera originale e ambiziosa, una delle uscite più interessanti dell’anno in corso.

Difficile trovare termini di paragoni immediati per questa musica proteiforme, vellutata e misteriosa in modo vagamente ellingtoniano, in costante bilico fra melodie solari e cupe ruminazioni, fatta di continue contrazioni e dilatazioni dello spazio sonoro. E’ fortissima la coesione fra i cinque, in particolare i due fiati: Ambrose e Walter lasciano spesso la frase a metà, lasciando che sia l’amico a completarla, e quando occorre si contrappuntano con altrettanta efficacia, senza mai coprirsi a vicenda. (Continua a leggere)