Eric Harland è uno dei migliori e più ricercati batteristi della sua generazione, e a ragione, vista la grande adattabilità e lo stile originalissimo e subito riconoscibile. Con ‘Vipassana’, Eric presenta al completo la band Voyager, già comparsa nell’ottimo esordio ‘Live By Night’, spingendo ancora oltre la sua personale visione di jazz come trampolino di lancio per l’esplorazione di altri orizzonti sonore, hip-hop e neo soul in particolare, ma non solo. Ogni brano presenta una cellula tematica ben caratterizzata e minimale, un mattoncino che poi viene utilizzato dalla band per dare vita a brani ritmati e avvincenti. Harland adotta groove potenti impegnandosi in progressive microvariazioni, quasi come un beatmaker hip-hop, il piano di Taylor Eigsti crea armonie estremamente ampie e risuonanti, il basso ancora il tutto con ostinati potenti, chitarra (Julian Lage) e sax (Walter Smith III) fluttuano sulla sezione ritmica tessendo linee ariose, ben connesse col tema e ricche di botta e risposta. Per gran parte del disco le cose funzionano davvero bene, in un singolare equilibrio fra ritmi ballabili, melodie ipnotiche e atmosfere rasserenanti. Qualche problema arriva invece col cantante Christopher Turner: suggestivo nella breve l’introduzione ‘Relax’, con strati di sovraincisioni vocali che evocano un clima meditativo ben contrastato dalla batteria scattante e nervosa, o nei vocalizzi eterei di ‘VI’, molto meno in ‘Normal’, esangue canzoncina più adatta ad un fastidioso disco indie folk.
‘Vipassana’ è un bell’album di moderno jazz figlio della visione di Christian Scott. Piacerà ai fan del trombettista di New Orleans, come a quelli dei James Farm (di cui Harland fa parte) o del NEXT Collective. Peccato solo per ‘Normal’, accidenti…
(Negrodeath)