FREE FALL JAZZ

Lester Bowie's Articles

Questo articolo è stato pubblicato su Musica Jazz di Luglio dello scorso anno e qui lo ripresentiamo nella sua forma originale (peraltro bozza pressoché integralmente pubblicata dopo piccole necessarie correzioni di cui ho tenuto conto). Come per le altre occasioni  ho aggiunto i link dei brani citati a supporto della lettura, cosa che ovviamente su cartaceo non è possibile fare.

Ringrazio il direttore della rivista Luca Conti per la gentile concessione.

Riccardo Facchi

Ci sono vocaboli nella narrazione del jazz che sono a dir poco abusati, veri e propri stereotipi utilizzati in modo eccessivo e talvolta improprio. Uno dei più battuti è certamente il termine “rivoluzione” e sarebbe difficile rintracciare chi non abbia visto un qualsiasi scritto che parli del tema Free Jazz senza vedere dopo poche righe quel termine, peraltro stimolato e in parte giustificato dalla forte connotazione socio-politica di cui si è tinto negli anni ’60, legata alla cosiddetta “protesta nera”. Qualcosa di analogo successe peraltro già nel dopoguerra col be-bop (per certi versi fase musicalmente ancor più “rivoluzionaria”), quasi che si trattasse di eventi in musica improvvisi e traumatici capitati tra capo e collo, disegnando scenari di rottura netta col passato e relativa tradizione, invecchiando così istantaneamente qualsiasi cosa prodotta in precedenza. (Continua a leggere)

Dave Douglas è uno dei musicisti più versatili e interessanti dell’ultimo ventennio, ma questo lo sa anche il maiale (come si dice dalle mie parti). Nell’attesa di recensire il suo ultimo, ottimo album in quintetto, vi presentiamo un bel concerto del suo singolare gruppo Brass Ecstasy, fatto solo di strumenti  a fiato (tromba, trombone, corno francese, tuba) con batteria – un omaggio alla grandiosa scuola di New Orleans, ma non solo. In questo concerto, il gruppo omaggia il grande Lester Bowie.


Con un po’ di buona memoria di certo ricorderete la Red Hot Organization, associazione sin dai primi anni ’90 attiva nel raccogliere fondi per finanziare cause in legate alla lotta contro l’AIDS. In particolare, i proventi arrivano dalla pubblicazione di una serie di compilation a tema, contenenti materiale più o meno inedito di nomi abbastanza importanti, la cui qualità però negli anni è andata sfortunatamente scemando (agghiaccianti le uscite “latine”, per esempio). Agli inizi le cose erano di tutt’altro livello: si pensi alla terza raccolta, ‘No Alternative’, che, sfruttando il boom “alternativo” del periodo, riuniva sullo stesso disco Soundgarden e Beastie Boys, Soul Asylum e Sonic Youth, persino i Nirvana, con una strepitosa hidden track (‘Sappy’). Un anno dopo fu il momento di “sfruttare” a scopo benefico un altro filone particolarmente in voga, capace di garantire buoni proventi: l’ibrido tra hip hop e jazz.

‘Stolen Moments: Red Hot + Cool’ arriva dunque nel 1994, quando la fusione tra i due stili è all’apice della popolarità e la carica innovativa va inevitabilmente svanendo, cionondimeno offre tanto materiale nuovo (coi testi “in tema”) e una carrellata di accoppiamenti inediti. (Continua a leggere)

Dei bei tempi in cui Raitre irradiava Schegge ne abbiamo già parlato ai tempi del Picture This con protagonista Jimmy Giuffré. Il filmato di oggi arriva dalla stessa trasmissione, e ci regala la Art Ensemble Of Chicago in una data di Roma del 1981, periodo invero strano per il free jazz (argomento quest’ultimo che magari approfondiremo prossimamente. Lo so che l’abbiamo detto anche per tanta altra roba, ma dateci solo tempo e modo). La performance è, al solito, di quelle pittoresche, e il quintetto è quello tipico di quegli anni, con Lester Bowie, Joseph Jarman, Roscoe Mitchell, Malachi Favors e Don Moye.

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E da dove si inizia a parlar di Lester Bowie?
Il trombettista e filicornista bizzarro, ombroso, ghignante, fuori le righe, eppure assolutamente schietto e genuino, senza forzature artificiose da “fottuto genio”, anche perché lui lo era davvero, e se ne fregava, di esserlo. È vero che magari il fatto che sia morto così presto lo avvolge (come nelle migliori banali tradizioni) in una specie di aura mista di rimpianto per un genio incommensurabile, ironico, cialtrone, disincantato, disarmante, e “prematuramente scomparso” (altro classico iconografico per chi, a corto di argomenti, suole mettere paletti definitori attorno all’indefinito). Ma rimangono comunque (e per fortuna!) tutti aggettivi veri e resistenti, e sarebbero valsi pure se fosse vissuto fino a 98 anni con l’arteriosclerosi, le botte di idiozia latente, il balbettio, con la dentiera nel bicchiere, la pelle floscia e l’alito da premorienza. (Continua a leggere)