FREE FALL JAZZ

Charles Mingus's Articles

Questo articolo è stato pubblicato su Musica Jazz di Luglio dello scorso anno e qui lo ripresentiamo nella sua forma originale (peraltro bozza pressoché integralmente pubblicata dopo piccole necessarie correzioni di cui ho tenuto conto). Come per le altre occasioni  ho aggiunto i link dei brani citati a supporto della lettura, cosa che ovviamente su cartaceo non è possibile fare.

Ringrazio il direttore della rivista Luca Conti per la gentile concessione.

Riccardo Facchi

Ci sono vocaboli nella narrazione del jazz che sono a dir poco abusati, veri e propri stereotipi utilizzati in modo eccessivo e talvolta improprio. Uno dei più battuti è certamente il termine “rivoluzione” e sarebbe difficile rintracciare chi non abbia visto un qualsiasi scritto che parli del tema Free Jazz senza vedere dopo poche righe quel termine, peraltro stimolato e in parte giustificato dalla forte connotazione socio-politica di cui si è tinto negli anni ’60, legata alla cosiddetta “protesta nera”. Qualcosa di analogo successe peraltro già nel dopoguerra col be-bop (per certi versi fase musicalmente ancor più “rivoluzionaria”), quasi che si trattasse di eventi in musica improvvisi e traumatici capitati tra capo e collo, disegnando scenari di rottura netta col passato e relativa tradizione, invecchiando così istantaneamente qualsiasi cosa prodotta in precedenza. (Continua a leggere)

Ci sono dischi che probabilmente per ciascuno di noi hanno segnato per sempre il proprio rapporto con il jazz, creando un legame di passione e di amore indissolubile verso questa meravigliosa musica. Per il sottoscritto, il concerto registrato dalla band di Charles Mingus nel settembre del 1964 al Festival di Monterey è uno di quelli, perciò potrei risultare in questo scritto sbilanciato nelle valutazioni, ma, considerato il valore oggettivo del contenuto musicale, poi non in modo così eccessivo. Dico subito che il disco ha un unico reale difetto, è registrato maluccio, cosa importante forse per chi ha un rapporto con la musica più da audiofilo che da melomane, ma non così condizionante per chi invece è abituato ad apprezzare senza alcun problema il contenuto musicale delle vecchie registrazioni dei decenni antecedenti l’ultima guerra mondiale. (Continua a leggere)

Il tour è quello famosissimo, in Europa, del 1964. Mingus ha pubblicato circa un anno prima il celebre ‘The Black Saint And The Sinner Lady’, e sul palco lo accompagna un manipolo di musicisti eccezionali: Eric Dolphy al contralto, Clifford Jordan al tenore, Johnny Coles alla tromba, Dannie Richmond alla batteria e il sottovalutatissimo Jaki Byard al pianoforte. In America ne tornerà uno in meno: la vita di Eric Dolphy si spezzerà in un ospedale tedesco nel mese di Giugno. I tre brani che vi proponiamo sono stati registrati qualche mese prima, il 12 Aprile, dalla TV norvegese: un pezzo di storia.


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‘Mingus: Charlie Mingus 1968′ è un film girato dal misterioso documentarista Thomas Reichman (del quale scarseggiano ragguagli persino sul sempre ottimo IMDB: pare sia morto nel ’75 dopo aver prodotto solo due altri lavori) durante il periodo che il contrabbassista visse un po’ “fuori dai radar” nella seconda metà degli anni ’60. Viene descritto drammaticamente come: a close-up of bass player and composer Charlie Mingus as he and his five-year-old daughter await eviction by the City of New York. Per la precisione, vengono sfrattati da uno studio in cui Mingus avrebbe voluto costruire una scuola di jazz. Ma, ovviamente, non c’è solo questo: in 60 minuti tanta musica inframmezzata da dichiarazioni del protagonista, che tiene fede alla sua fama di personaggio sopra le righe e non si tira indietro neanche nel mostrare il fucile comperato per pochi dollari dopo aver subito una rapina. Tutto il resto potete vederlo da soli cliccando qui sotto.

Oggi ne avrebbe compiuti 90. Come diceva Mike: CIAAALS MINGAAAS.