FREE FALL JAZZ

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Quello di Dario Germani, contrabbassista laziale, è un trio pianoless (oltre al titolare: Stefano Preziosi al contralto, Luigi Del Prete alla batteria e l’ospite Max Ionata al tenore) che si muove con disinvoltura tra cool jazz e bop, proponendo, oltre a un pugno di originali, una serie di riletture per nulla ovvie (pescate dai repertori di monumenti come Paul Desmond, Bud Powell, Monk, Yusef Lateef e Miles Davis). Dell’ottimo esordio ‘For Life’ (Tosky Records) vi abbiamo già ampiamente detto in sede di recensione: ora è il momento di porre qualche domanda per conoscerlo meglio.

Ascoltando ‘For Life’ non si direbbe, ma nasci come musicista rock. Raccontaci il tuo percorso musicale: come sei arrivato infine al jazz?
Ho iniziato suonando musica rock con il basso elettrico, strumento che avevo iniziato a studiare con il maestro Gianluca Renzi, per poi passare al contrabbasso, sempre parallelamente agli studi classici. All’inizio il jazz mi interessava solo come studio, poi si è trasformato in una vera e propria passione per la vita. Il jazz è un viaggio infinito senza ritorno, secondo me. (Continua a leggere)

Si tratta di un piccolo classico, forse molti di voi lo avranno già visto, ma era da tempo che mi ripromettevo di inserirlo tra i nostri vari Picture This. Sto parlando di ‘Straight No Chaser’, film documentario del 1988 incentrato sulla vita e, soprattutto, la musica di Thelonious Monk. Tra i produttori della pellicola figura l’immenso Clint Eastwood (e se siete suoi fan, di certo conoscerete la sua passione per il jazz), mentre la regia è di Charlotte Zwerin, moglie del trombonista Mike Zwerin (che i più attenti ricorderanno per una fugace comparsa accanto a Miles Davis, di cui resta traccia nelle sessioni complete di ‘Birth Of The Cool’). Interviste postume ad amici, colleghi e familiari vengono utilizzate per scandire la storia, ma numerosi sono i filmati “musicali” con lo stesso Monk in azione nel meglio dei suoi anni. Se stasera per qualche motivo siete a casa e non avete ancora deciso cosa guardare in TV, direi che col nostro consiglio andate sul sicuro: se lo conoscete già sarà un piacevole ripasso; se vi manca, colmerete la lacuna con soddisfazione.
 

In un recente articolo si parlava di come la nuova generazione di musicisti jazz italiani veda i suoi esponenti migliori in nomi dinamici, aperti alle contaminazioni e dalle influenze molteplici. Il contrabbassista laziale Dario Germani, fresco d’esordio in proprio, rappresenta l’altra faccia della medaglia: ‘For Life’ è una dichiarazione d’amore verso il jazz degli anni ’50 e ’60, che si avvicina a quell’epoca con un rigore di rado riscontrabile in musicisti così giovani (classe 1984, per la precisione). Un approccio corroborato anche dalla felice scelta d’incidere il disco live in una sala della suggestiva Villa D’Este (Tivoli), che conferisce all’insieme un suono “caldo” e con caratterizzanti riverberi naturali, che lo rende ancora più affine a certe incisioni dell’epoca.

Non si faccia tuttavia l’errore di scambiare Germani per uno dei tanti calligrafici tributi che infestano l’ambiente jazz nostrano. Non andrà a cercare l’ispirazione oltre gli steccati del genere, ma dinamico lo è eccome: (Continua a leggere)

Introdotta durante gli anni del proibizionismo, la cabaret card era un espediente delle autorità newyorkesi per controllare chiunque (musicisti inclusi) avesse intenzione di lavorare nei night club della Grande Mela. In pratica, i titolari venivano schedati in cambio della suddetta licenza, la quale poteva essere revocata a discrezione del dipartimento di polizia locale. Qualcuno rifiutò di piegarsi all’imposizione (Frank Sinatra ad esempio pare abbia evitato di esibirsi a New York fino all’abolizione della card nel 1967), tanti altri la accettarono, e alcuni, come Charlie Parker o J. J. Johnson, dovettero anche combattere dopo essersela vista revocare. (Continua a leggere)

Importante operazione filologica della newyorkese Upfront, che recupera, come facilmente intuibile dal titolo, un lungo set registrato al Piccadilly Club di Newark (New Jersey) nel 1953: si tratta con ogni probabilità delle più vecchie testimonianze esistenti di Hank Mobley in versione leader. In quel periodo il sassofonista newyorkese era infatti impegnato soprattutto a “farsi le ossa” accompagnando Max Roach (e, poco dopo, anche Dizzy Gillespie e Horace Silver), l’esordio in proprio non sarebbe arrivato prima di un paio d’anni. La formazione è per l’occasione un quintetto con una manciata di nomi che pure proveranno a dire la loro nell’imminente esplosione hard bop: il pianista Walter Davis Jr (che piazzerà un ottimo album da leader su Blue Note), la meteora Jimmy Schenck al basso (un paio di gettoni con Max Roach e Joe Gordon) e il batterista Charlie Persip, più longevo, che riceverà crediti su decine di album. Unico “fatto e finito” della combriccola è infine il trombonista Bennie Green, dagli anni ‘40 al servizio di Earl Hines nonché già avviato a una carriera da leader che, tra Prestige e Blue Note, regalerà più di un momento degno di nota (e speriamo di riparlarvene, ovviamente). (Continua a leggere)

A circa 9 anni e mezzo dalla scomparsa del grande “Bird”, il network televisivo tedesco SWR decise di produrre una trasmissione speciale per omaggiarlo. L’idea era convocare un cast di alto livello per riproporre davanti alle telecamere alcuni dei brani che avevano reso immortale Charlie Parker: per quest’appuntamento settimanale vi proponiamo Sonny Stitt (contralto), Walter Bishop (piano), Tommy Potter (contrabbasso) e Kenny Clarke (batteria) alle prese con una toccante versione di ‘Lover Man’. Ad onor di precisione, segnaliamo che nel resto dell’esibizione (registrata nell’Ottobre 1964) la formazione era arricchita da altri due pezzi da novanta:  Howard McGhee (tromba) e J.J. Johnson (trombone).