FREE FALL JAZZ

Importante operazione filologica della newyorkese Upfront, che recupera, come facilmente intuibile dal titolo, un lungo set registrato al Piccadilly Club di Newark (New Jersey) nel 1953: si tratta con ogni probabilità delle più vecchie testimonianze esistenti di Hank Mobley in versione leader. In quel periodo il sassofonista newyorkese era infatti impegnato soprattutto a “farsi le ossa” accompagnando Max Roach (e, poco dopo, anche Dizzy Gillespie e Horace Silver), l’esordio in proprio non sarebbe arrivato prima di un paio d’anni. La formazione è per l’occasione un quintetto con una manciata di nomi che pure proveranno a dire la loro nell’imminente esplosione hard bop: il pianista Walter Davis Jr (che piazzerà un ottimo album da leader su Blue Note), la meteora Jimmy Schenck al basso (un paio di gettoni con Max Roach e Joe Gordon) e il batterista Charlie Persip, più longevo, che riceverà crediti su decine di album. Unico “fatto e finito” della combriccola è infine il trombonista Bennie Green, dagli anni ‘40 al servizio di Earl Hines nonché già avviato a una carriera da leader che, tra Prestige e Blue Note, regalerà più di un momento degno di nota (e speriamo di riparlarvene, ovviamente).

Proprio l’interazione tra sax e trombone è il fulcro dei brani (e spesso negli anni il sassofonista sceglierà di suonare in formazioni con almeno un altro fiato), ma la cosa più interessante del programma è vedere all’opera Mobley in un contesto piuttosto distante dall’hard bop e dal soul jazz con i quali verrà identificato nei suoi anni presso la Blue Note. Il gruppo propende infatti verso sonorità più “classiche”, facendosi portavoce di un robusto bebop che agli originali (completamente assenti) preferisce standard o brani più o meno contemporanei: si va da un’anfetaminica versione della gillespiana ‘Ow’, con un Mobley in grande spolvero che gigioneggia improvvisando il tema del ‘Tico Tico’, a un’altrettanto entusiasmante ‘Lullaby Of Birdland’, all’epoca quasi una novità (persino le notissime versioni di Ella Fitzgerald e Sarah Vaughan sarebbero arrivate solo di lì a un anno e più). Il caratteristico stile melodico che segnerà l’intera carriera di Hank è peraltro già abbastanza distinguibile (si veda ad esempio ‘All The Things You Are’), dando l’impressione di un musicista ormai quasi maturo, di sicuro pronto al “salto” che sarebbe arrivato non molto dopo. Il resto del gruppo, pur in un ruolo comprimario rispetto ai due fiati, si ritaglia comunque i propri momenti di gloria, dalla tempesta percussionistica che Persip tuona in coda a ‘Blues For Green’ alla parentesi pianistica di ‘Keen And Peachy’.

Curiosissimo poi sentire spesso intervenire tra un pezzo e l’altro la voce dell’annunciatore del locale ad introdurre i brani: dettaglio apparentemente insignificante, ma perfetto per rendere in maniera ancor più viva l’atmosfera dei fumosi jazz club della East Coast. Sempre in tal senso, nei momenti più “quieti” è possibile udire più di un entusiasta “come on” di incitamento, chissà se proveniente dal pubblico o scambiato tra i musicisti stessi. La registrazione (ovviamente rimasterizzata) peraltro suona assai bene per essere roba di oltre mezzo secolo fa, a differenza di tanti nastri di pessima resa pubblicati solo per l’eventuale valore “documentaristico”: qui, oltre a un piccolo pezzo di storia del jazz americano, ci sono quasi due ore di buona musica. Il CD è quindi un doppio, arricchito da un lavoro eccellente anche dal punto di vista “visivo”, con un booklet ricco di informazioni e note biografiche. L’unico neo è che tanto ben di Dio ha il suo prezzo, che al momento non è basso (circa una trentina di Euro), ma se anche voi siete convinti che Hank Mobley meriti pienamente l’agognato posto in prima fila accanto ai soliti (bravissimi) noti del sax dai quali viene puntualmente “oscurato”, di remore non ne avrete neanche una. (Nico Toscani)

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