FREE FALL JAZZ

Introdotta durante gli anni del proibizionismo, la cabaret card era un espediente delle autorità newyorkesi per controllare chiunque (musicisti inclusi) avesse intenzione di lavorare nei night club della Grande Mela. In pratica, i titolari venivano schedati in cambio della suddetta licenza, la quale poteva essere revocata a discrezione del dipartimento di polizia locale. Qualcuno rifiutò di piegarsi all’imposizione (Frank Sinatra ad esempio pare abbia evitato di esibirsi a New York fino all’abolizione della card nel 1967), tanti altri la accettarono, e alcuni, come Charlie Parker o J. J. Johnson, dovettero anche combattere dopo essersela vista revocare.

Riguardo le vicissitudini del grande Bird con la suddetta card è stato pubblicato ieri (sul sito dell’economista americano Lew Rockwell) un interessante articolo a firma di Michael S. Rozeff. Ve ne riportiamo di seguito una traduzione in italiano:

Charlie Parker ha avuto diverse scaramucce con la legge, e come lui diversi musicisti jazz. Lo strumento di controllo della polizia era la famigerata cabaret card. Spesso le droghe erano la causa per questa particolare forma di oppressione, ma le scuse potevano essere in realtà molte di più. La carta era una licenza per suonare rilasciata dal governo. La pratica è rimasta in vigore fino al 1967; non mi sono informato su cosa l’abbia rimpiazzata, ammesso lo sia stata. Nate Chinen ha scritto un articolo sull’operazione “da stato di polizia” della cabaret card in cui ci informa che “masticando un po’ di diritto si apprende che la licenza per esibirsi è stata è stata istituita almeno nel 1926 e si è protratta fino agli anni ’40, quando le tessere identificative per i personaggi di spettacolo sono diventate obbligatorie, parte di una campagna atta ad addomesticare (o in alcuni casi “deradicalizzare”) la vita notturna cittadina. Per ottenere una di queste licenze, rinnovabile ogni due anni, un musicista doveva recarsi al dipartimento di polizia locale per farsi fotografare e farsi prendere le impronte: una procedura che naturalmente richiama la ‘bollatura’ dei criminali”.

L’articolo aggiunge anche che “Parker fu una delle vittime più contestatrici della carta, le cui restrizioni si ripercossero anche su Billie Holiday, Thelonious Monk, J. J. Johnson e Jackie McLean. Una lista più dettagliata potrebbe riempire il resto della pagina”.

Per riottenere la licenza dopo la revoca, Parker fu costretto a supplicare semplicemente per poter tornare a suonare: “Tra le tante curiosità degli archivi epistolari del jazz, vi è una missiva di Charlie Parker indirizzata al New York Liquor Control Board datata 17 Febbraio 1953: ‘Il mio diritto di praticare la professione che ho scelto è stato portato via. Mia moglie e i miei tre figli stanno soffrendo, e non hanno colpa di qualunque cattiva azione possa aver commesso io – scriveva Parker – Sono certo che, esaminando i miei registri e rendendovi conto del mio sforzo sincero per diventare un buon padre di famiglia e un buon cittadino, vi ricrederete. Se per qualunque motivo doveste ritenere che non abbia pagato i miei debiti verso la società, permettetemi in qualunque modo di farlo e restituite a me e alla mia famiglia il diritto di vivere”.

Charlie Parker purtroppo se ne andò esattamente due anni dopo. Non sappiamo se quel pezzo di carta abbia mai fatto in tempo a riottenerlo.

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