FREE FALL JAZZ

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Ok, qualcuno potrebbe dire “Eammeccheccazzomenefregammè!?”, ma a quel punto non ce ne fregherebbe niente a noi. Quando abbiamo pubblicato la recensione del bellissimo ‘The Offense Of The Drum’ si parlava già della nomination per il Grammy di O’Farrill. (Continua a leggere)

Se da noi Arturo O’Farrill è un perfetto sconosciuto, oltreoceano le cose cambiano. Non solo il suo ultimo album, il bellissimo ‘The Offense Of The Drum’, ha ricevuto una nomination per il Grammy, ma Arturo è pure fondatore e leader della Afro Latin Jazz Alliance, un’organizzazione che promuove l’Afro Latin Jazz attraverso un vasto programma di concerti ed educazione. Un esempio di concerto è questo, con l’Afro Latin Jazz Orchestra al servizio del compositore Gregorio Uribe e della sua ‘Suite: Columbia’.


Etienne Charles è uno dei beniamini locali, qui a Free Fall Jazz. Potevamo trascurare la puntata di ‘Beyond Category’ dedicata a lui? No, che discorsi! Una conferma delle ottime qualità del trombettista di Trinidad nonché della straordinaria scena dei musicisti centro e sud americani che danno vita ad un nuovo blend jazzistico dopo il trasferimento negli States.


Il grande Etienne Charles, con simpatia e semplicità, ci fa fare un tour attraverso alcuni meccanismi di composizione ed improvvisazione jazzistica. Le metafore culinarie, con tanto di preparazione del pollo, di sicuro aiutano a rendere il tutto più appetitoso e orecchiabile!


Come rallegrare una uggiosa giornata di fine novembre? Per esempio, con una bella esibizione di Etienne Charles, alle prese con una magnifica versione di ‘Turn Your Lights Down Low’, incisa poi nel recentissimo ‘Creole Soul’.


Di recente, in occasione del nuovo, ottimo album di Etienne Charles, parlavamo del solido legame che unisce il jazz con i luoghi e le sonorità dell’America centro-meridionale. Una parentela dalle origini antiche (basti citare il caso forse più famoso, Dizzy Gillespie, che abbeverandosi a quelle fonti ha prodotto alcuni dei migliori episodi della sua sterminata carriera) e che ancora oggi perdura con immutata efficacia grazie alle intuizioni di musicisti come James Carter o lo stesso Charles. Tra coloro che nel tempo hanno strizzato l’occhio alle sonorità caraibiche, quello di Freddie Hubbard non è tuttavia il primo nome a venire in mente. Anzi, nemmeno il secondo o il terzo.  Lo si può identificare coi suoi capolavori su Blue Note, con la svolta più “facile” (e assai meno riuscita) verso territori soul/funk, finanche con una manciata di dischi piuttosto sperimentali per i suoi canoni (l’ottimo ‘Red Clay’, da riscoprire), eppure, per quanto trascurato, in certe zone geografico-musicali ci è passato anche lui. Con ottimi risultati, per giunta. (Continua a leggere)

Il jazz è una musica figlia della Diaspora Africana e del successivo sincretismo culturale nato in terra nordamericana. Oggi, oltre agli Stati Uniti, si fanno valere in primis le altre culture figlie della Diaspora di cui sopra e relative evoluzioni – lo dimostrano i molti musicisti dell’America centrale e meridionale che si affacciano sullo scenario con autorevolezza e talento. Fra questi Etienne Charles, eccezionale trombettista di Trinidad arrivato al quarto album. Se nel precedente ‘Kaiso’ l’obiettivo era quello di riesaminare la musica della terra natale in ottica post-bop, ‘Creole Soul’ allarga il campo d’indagine ai Caraibi. I compagni di avventura, ormai affiatatissimi (Ben Williams al basso, Obed Calvaire alla batteria, Kris Bowers al piano, Brian Hogans al contralto e Jacques Schwartz-Bart al tenore), sono musicisti giovani cresciuti anche con il ritmo dell’R&B e del funk: l’impulso nervoso di queste musiche è presente in maniera quasi subliminale, ma si sente nell’impasto complessivo, così urbano e colorito. (Continua a leggere)

Ci siamo occupati già un paio di volte dei Ninety Miles, l’eccellente progetto di jazz americubano patrocinato dalla Concord. Non c’è due senza tre, soprattutto quando il tre è un bellissimo concerto di un’ora ripreso professionalmente in quel di San Sebastian. Al posto di Christian Scott troviamo Nicholas Payton, che da un tocco più hubbardiano ai brani.


Yosvany Terry, sassofonista, è uno dei tanti espatriati cubani che si sono rilocati a New York per perseguire la carriera musicale – nel jazz, poi, che vanta una lunga e fruttuosa corrispondenza con la musica antillana e caraibica. E in effetti il gruppo di Yosvany Terry si dedica ad un post-bop evoluto e avvincente intriso di sonorità e ritmi cubani, come ci si può aspettare, ma allo stesso tempo ben lontano da triti esotismi da cartolina o sentimentalismo caramellato con la scusa della saudaaaaaanji e dell’alma latina (chi avesse sentito ‘Alma Adentro’ del comunque bravo Miguel Zenon sa cosa intendo). ‘Today’s Opinion’ vede confluire il gusto per la composizione complessa e strutturata di Woody Shaw con le sovrapposizioni metriche tribal/funk di Steve Coleman, principale influenza sul sax del leader assieme a Charlie Parker. La batteria del bravissimo Obed Calvaire e le percussioni di Pedro Martinez, assieme ad un bel pianoforte agile e percussivo (sullo stile del primo, e migliore, Chick Corea), danno vita ad una serie di potenti groove, robustissime basi per le evoluzioni mozzafiato di una frontline ben affiatata; oltre al leader troviamo infatti la tromba-rivelazione di Michael Rodriguez. (Continua a leggere)

Credo che molti noi avrebbero qualche problema a identificare sulla cartina Trinidad-Tobago. Anzi, molti nemmeno penserebbero ad uno stato, e ancor meno al jazz. Tuttavia ci pensa il giovane trombettista Etienne Charles a colmare la lacuna, rappresentando la sua terra natale a suon di jazz! Siamo già al terzo disco, dopo ‘Culture Shock’ (2006) e ‘Folklore’ (2009), dedicato all’esplorazione del folk di Trinidad in chiave jazzistica. Nel primo disco un ottimo mainstream jazz per quintetto si colorava di melodia e ritmi caraibici mantenendo sempre un approccio molto metropolitano e “hard”; nel secondo si esploravano miti e leggende dei Caraibi in una serie di brani d’ampio respiro, con una formazione estesa. In ‘Kaiso’ l’unico brano originale è quello che intitola il disco, mentre per il resto troviamo pezzi tradizionali e celebri hit di musicisti locali, che certo non fingerò di conoscere: si tratta forse del tentativo più approfondito, da parte di Charles, di fondere cultura americana e antillana. Il sestetto di base comprende nostre vecchie conoscenze come Brian Hogans (contralto) e Ben Williams (contrabbasso), che assieme a Jacques Schwartz-Bart (tenore), Sullivan Fortner Jr. (piano) e Obed Calvair (batteria) avevano già dimostrato un’ottima intesa nel disco precedente. (Continua a leggere)