FREE FALL JAZZ

Archive for " febbraio, 2016 "

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Se qualcuno ha dei dubbi sul fatto che il jazz debba essere considerato una musica che, per quanto sofisticata, faccia parte o meno dell’ampio bacino delle musiche popolari, non solo afro-americane, potrebbe scioglierli ascoltando questo pregevole lavoro di Geri Allen, uscito nel 2013 e tra i suoi migliori. Non si sa se per pregiudizio, ignoranza, o per visione artistica di base impropriamente estrapolata dalla concezione europea in materia, il jazz in Italia è vissuto invece dai più come qualcosa di separato e di separabile dal resto: una musica colta pensata per il gradimento di una élite esclusiva di intenditori molto “cool”, la sola in grado di comprenderlo al grido di: “Meno siamo meglio è”. Negli ultimi tempi si è poi assistito a reiterati tentativi di revisionismo storico, più o meno “colti”, ma per lo più vani, secondo i quali il jazz avrebbe in realtà paternità e radici storiche fuori dal territorio americano e ben oltre l’etnia afro-americana, in barba alla natura costituente di certi complessi processi linguistici formativi che lo hanno progressivamente generato. (Continua a leggere)

Anche quest’anno si rinnova l’appuntamento con “Dialoghi: jazz per due”: giunta alla XVIII edizione, la rassegna, organizzata dal Settore Cultura del Comune di Pavia, vanta ormai una consolidata tradizione e rimane la principale iniziativa che la città di Pavia dedica alla musica jazz in maniera organica e con una specificità progettuale. (Continua a leggere)

Hai voglia di ignorare il Festival di Sanremo, di inarcare le sopracciglia ben disegnate o arricciare il delizioso nasino. Non si può negare l’antropologia culturale: così come non si può negare agli indios Nambikwara di essere così come li raffigura “Tristes Tropiques”, non si può negare a Sanremo di essere lo specchio di quell’Italia che è passata dal mondo contadino all’arricchimento post-industriale senza avere avuto il tempo di superare l’insegnamento coatto-clerical-democratico di “Non è mai troppo tardi”. (Continua a leggere)

Alla seconda parte

Nell’aprile 1968, in seguito all’assassinio di Martin Luther King, Jr., la Williams compone due pagine in ricordo del leader africano-americano: If You’re Around When I Meet My Day e I Have A Dream, ambedue presentate per la prima volta da un coro di voci bianche in occasione della Domenica delle Palme dello stesso anno. Nel suo fervore religioso, l’autrice spera di potere scrivere ed esibirsi per il Papa a Roma e, per avvicinarsi all’Italia, accetta un prolungato, disastroso e poco lucroso ingaggio a Copenhagen, città che la colpisce negativamente per la sua eccessiva laicità: I’m in an almost all atheist country. My two bass men do not believe in God and I could feel this coldness in their music before they told me. (Continua a leggere)

Dopo l’acclamazione quasi unanime dei due full-length usciti a nome Fire! Orchestra, il sassofonista norvegese Mats Gustafsson rispolvera la sigla Fire! per esibirsi nuovamente nel più ristretto e tradizionale formato del trio, accompagnato da Johan Berthling (basso) e Andreas Werliin (batteria). Pubblicato a tre anni dall’ultimo ‘Without Noticing’, ‘She Sleeps, She Sleeps’, come sempre edito dalla sua Rune Grammofon, ne rivela però crudelmente la disarmante debolezza e incompetenza nell’ambito strettamente jazzistico. A ben vedere, da sempre gli episodi più notevoli della sua discografia (non ultimi i dischi per la Fire! Orchestra) hanno più a che vedere con l’iconoclastia e con lo scardinamento della tradizione, perpetrato per mezzo di arditi crossover stilistici con rock, psichedelia, noise e musica sperimentale di sorta, piuttosto che con un’effettiva padronanza del linguaggio jazz in sé e per sé. (Continua a leggere)

Alla prima parte | Alla terza parte

E’ soprattutto grazie alla pratica religiosa che gli schiavi riuscirono ad evadere con successo dalle vie obbligate della cultura bianca[22]. Durante le loro riunioni segrete, tenute di notte e in luoghi nascosti o inaccessibili, gli africani-americani esorcizzavano le pressanti angosce prodotte dal sistema schiavistico grazie ad un’eccitazione spirituale collettiva. La loro musica, di derivazione ancora marcatamente africana, contribuiva a rafforzare i sentimenti identitari della comunità africana-americana, mentre la danza, orientata su schemi prevalentemente circolari, consentiva loro di trasgredire l’impostazione prettamente lineare delle forme d’espressione fisica allora usuali negli Stati Uniti. (Continua a leggere)

La condivisione di un brano da parte di un amico comune, la ricerca su Spotify, la decisione di acquistare il cd dopo qualche ascolto, la full immersion, la recensione: questo il modo in cui ho scoperto Keith Brown e la sua musica. Un modo in realtà piuttosto tipico ormai, ma a cui alcuni non vogliono arrendersi, persi nella nostalgia dei bei tempi andati, del negozio di dischi, della radio e della rivista. Pazienza, quel mondo è crollato, ora bisogna cercare e trovare le perle – che, fortunatamente, non sono nemmeno poche, in un periodo ricco di fermento. (Continua a leggere)

Alla seconda parte

Abbiamo il piacere di proporvi sulle colonne di Free Fall Jazz un nuovo saggio di Gianni M. Gualberto, che affronta in questa occasione un tema poco o nulla frequentato dalla musicologia jazzistica e che crediamo vada a colmare, almeno in parte, una discreta lacuna nelle conoscenze intorno a quella complessa e intrecciata realtà culturale costituita dalle musiche africano-americane. Si tratta dell’aspetto spirituale e religioso in musica sviluppato dall’etnia afro-americana venuta in contatto con la cristianità sul territorio americano, sin dai tempi della deportazione e della schiavitù. (Continua a leggere)

Edizione numero 38, concerti con artisti internazionali, proiezioni di film, iniziative didattiche e altro ancora: dal 13 al 20 marzo, per la prima volta con la Direzione Artistica di una personalità centrale del jazz contemporaneo, il trombettista statunitense Dave Douglas, “Bergamo Jazz” sarà anche nel 2016 punto di riferimento immancabile per chi vuole conoscere da vicino una musica che, in virtù del suo glorioso passato e del suo florido presente, offre sempre opportunità di ascolto stimolanti e di arricchimento culturale. (Continua a leggere)

Sabato 06 febbraio sarà il funky groove ad alto carico energetico del James Carter Organ Trio ad inebriare il pubblico del Jazz Club Ferrara con un concerto che affonda le radici nel soul jazz degli anni ’60. A fianco del leader, che da sempre si contraddistingue per la straordinaria tecnica applicata ad ogni genere di strumento a fiato, troviamo Gerard Gibbs all’organo e Alex White alla batteria. (Continua a leggere)

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