Figlio di Donald, uno degli innumerevoli talenti scoperti da Art Blakey, e come lui pianista, Keith Brown non è un nome molto conosciuto. Ha lavorato come session man in vari ambiti della black music, dal soul al jazz, e ha già inciso un buon disco in trio pochi anni fa. Con ‘The Journey’, il giovane Brown alza il tiro e ci offre un lavoro ambizioso, un vero e proprio viaggio attraverso tutte le proprie esperienze di musicista, sintetizzate in un freschissimo jazz dal taglio contemporaneo, innervato di soul, neo-soul, funk, hip-hop – colori, melodie, ritmi e arrangiamenti parlano chiaro, anche se il gruppo è spesso e volentieri acustico. Da questo punto di vista, possiamo pensare a punti di riferimento come Lafayette Gilchrist e soprattutto Russell Gunn, due veri e propri maestri anticipatori nella sintesi fra jazz e resto della musica nera contemporanea. ‘The Journey’ è un’opera complessa, ma mai ostica: anzi, i temi sono sempre molto orecchiabili, le improvvisazioni, certo fantasiose, lavorano all’interno del tracciato armonico scardinandolo in maniera graduale, quasi senza dare nell’occhio. Grande l’importanza della prodigiosa batteria di Terreon Gully, che fa un insistito uso di rim-shot in brevi pattern poliritmici ripetuti, spezzati e ricombinati, riproducendo in questo modo l’effetto tipico delle ritmiche hip-hop. Ai sax troviamo musicisti navigati come Kenneth Whalum III, Greg Tardy e Jamal Mitchell, mentre il basso di Clint Mullican e la chitarra di Mike Seal completano la formazione aggiungendo pulsazioni jazz-funk e ulteriori colori ai momenti d’insieme, arrangiati secondo modalità neo-soul. Ah, e Keith Brown? Il suo stile, percussivo e bluesy, con una notevole indipendenza fra le mani e uno spiccato gusto per le ornamentazioni e cesellature melodiche, è figlio diretto di musicisti come John Hicks e Kenny Kirkland (cui è dedicata ‘Capt’n Kirk’), affiancandosi al più giovane Marc Cary. Sue quasi tutte le composizioni – fanno eccezione ‘Human Nature’, ove per larga parte i sax ripetono il tema mentre la sezione ritmica si scatena, dettando la dinamica e lo svolgimento del brano, rilasciando poi la tensione al momento del fluido assolo di sax, e ‘(I’ve Got a) Golden Ticket’ (sì, quella del classico ‘Willie Wonka E La Fabbrica di Cioccolato’!), enunciata dal piano che allude allo stride, rallentata in un avvolgente soul jazz dalla band e infine chiusa da una coda sospesa di piano elettrico.
Ad averlo sentito prima, ‘The Journey’ sarebbe finito dritto nella top 10 dell’anno appena trascorso. Pazienza. Splendido album di puro jazz moderno ad altissimo livello, ottimo pure per avvicinare i neofiti a questa musica.
(Negrodeath)