FREE FALL JAZZ

John Coltrane's Articles

Les liaisons dangereuses” è il titolo di un film franco-italiano (filone prurignoso-ma-sofisticato) del 1959, diretto da Roger Vadim e basato sul romanzo omonimo che, negli anni ’80, ispirò pure il film di Stephen Frears. (Continua a leggere)

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In questi giorni si è letto davvero uno sproposito di omaggi e articoli per celebrare l’anniversario della nascita di John Coltrane. Tutto molto bello, cioè no, mica tanto, perché se ne sono lette di tutti i colori. Leggendo in particolare un lungo articolo su A Love Supreme (tema peraltro davvero scontato e troppo inflazionato per mettere in rilievo la sua figura), mi sembrava di leggere per il tipo di linguaggio usato uno scritto di 40 anni fa, rendendomi conto una volta di più di quanto la prevalente narrazione italica sul jazz sia ancora condizionata e viziata da argomentazioni obsolete di stampo ideologico, zeppe di pregiudizi, stereotipi e cliché critici ormai desueti. Ad esempio, su come siano da intendere concetti come “tradizione” e “avanguardia” nella cultura musicale africano-americana, che mi pare continui ad essere vista solo sotto uno stantio filtro eurocentrico chiaramente distorcente, condito pure con discrete dosi di inconsapevole razzismo. (Continua a leggere)

Dopo quasi cinquant’anni dalla sua morte, trascorsi tra mito e aneddotica relativa, tra coltranismi, modalismi, spiritualismi e avanguardismi vari, insomma tutta la serie di -ismi ai quali è affezionata una vasta porzione di appassionati, sarebbe interessante effettuare una verifica critica sedimentata circa l’opera di John Coltrane, la sua discografia e la relativa eredità musicale. Tema assai ampio e impegnativo che certo non si può dibattere in sede di una breve recensione. Che si stia parlando di uno dei giganti autentici di questa musica, non vi è alcun dubbio. Che la sua discografia sia da prendere integralmente per oro colato come fanno in molti, è un’altra faccenda e sarebbe cosa poco seria, più prossima al fanatismo da collezionista che alla onesta valutazione musicale. (Continua a leggere)

John Scheinfeld è il regista di documentari musicali come ‘The U.S. vs John Lennon‘ e ‘Beautiful Dreamer: Brian Wilson and the Story of Smile‘. Nel mese di novembre, Scheilfeld ha cominciato la pre-produzione di un documentario su John Coltrane, coprodotto dalla Concorde Music e dalla Meteor 17. (Continua a leggere)

La storia di questo disco dal vivo  è ben nota. Si tratta di un concerto alla Temple University registrato nel novembre del ’66 con mezzi di fortuna: aneddotica vuole che un pubblico già sparuto avesse cominciato ad andarsene dopo la prima mezz’ora, che Coltrane, già malato, avesse suonato male, che gli studenti-organizzatori avessero finito per rimetterci. Le registrazioni bootleg, in giro da anni, restituivano un’immagine incompleta dell’evento. Ci ha pensato la Impulse a darne la versione definitiva e ufficiale, portando la qualità sonora a livelli poco meno che accettabili. In quest’ultima, discussa e controversa fase della sua carriera, Coltrane cercava la trascendenza attraverso la musica: dal jazz modale era partito verso l’India, l’Oriente e l’Africa, esplorando tutte le possibilità sonore della strumentazione fino a sfiorare i confini del rumore. (Continua a leggere)

Letture ideologizzate e fazione della storia del jazz hanno creato artificiose contrapposizioni. Fra di esse, spicca quella che i musicisti neri detestassero quelli bianchi, e che questi ultimi siano malevoli agenti del capitalismo reazionario che disinnesca la pulsione rivoluzionaria (conditio sine qua non, secondo certi geni, della bontà e dell’autenticità del jazz). In realtà le cose erano un tantino diverse. John Coltrane, per esempio, ha sempre ammirato Stan Getz… come si vede in questo filmato, con una sezione ritmica da infarto: Oscar Peterson, Paul Chambers e Jimmy Cobb.


The 6th Floor è un blog presente sul sito del New York Times in cui i vari membri dello staff del celebre quotidiano pubblicano articoli, link, curiosità e quant’altro. In scia all’uscita di ‘Spirit Fiction’, suo primo album per la Blue Note, il “sesto piano” ospita Ravi Coltrane, che propone, snocciolando anche commenti e qualche aneddoto, una playlist dei suoi dieci brani preferiti in cui suonano suo padre e/o sua madre (e, se dobbiamo dirvi chi sono, vuol dire che siete capitati su queste pagine per sbaglio cercando zozzerie o i Robinson su Google). Potete leggere/ascoltare il tutto a questo link.

Dopo tanti classici, ecco un Picture This dedicato alle nuove generazioni. Abbiamo scelto un brano di José James (dal Jazz Festival di Vitoria-Gasteiz, in Spagna) che tenta di gettare un entusiasmante ponte tra passato e presente: un’insolita versione di ‘Equinox’ (John Coltrane) arricchita di traccia vocale. Problemi di diritti d’autore gli hanno impedito di inserirla anche su ‘The Dreamer’, ottimo incrocio di jazz, hip hop e tanto altro uscito qualche anno fa, ed è un peccato: ascoltare per credere. La data è 14 Luglio 2011, e ad accompagnare James troviamo Takuya Kuroda (tromba), Grant Windsor (tastiere), Chris Smith (basso), Adam Jackson (batteria). Enjoy.

Da un’idea della nostra Dinahrose, inauguriamo oggi una nuova rubrica dalla cadenza regolarmente variabile (insomma, ormai ci conoscete). Oggetto della suddetta saranno i volumi, quelli misurati in pagine piuttosto che decibel, imparentati in maniera più o meno diretta con la “nostra” musica. Senza andare (ancora) a pescare chissà quale tomo dimenticato da tutti i cataloghi, dedichiamo questa prima puntata a un titolo acquistabile senza patemi in tutte le librerie. In realtà,nel caso specifico, da leggere c’è davvero poco: ‘A memoria di jazz’ è infatti un lavoro soprattutto fotografico. Hervé Gloaguen, il suo autore, è un fotogiornalista francese appassionato di musica, che ha avuto la fortuna di svolgere la sua gavetta, tra Parigi e New Orleans, negli anni ’60, periodo che gli ha permesso di assistere dal vivo, pellicola alla mano, alle esibizioni di praticamente tutti i più grandi interpreti di jazz. Oggi sessanta (numero a caso?) di quegli scatti sono raccolti in questo volumetto rigorosamente in bianco e nero e assolutamente spettacolare a vedersi: formato A5 (circa), copertina rigida, carta patinata di ottimo spessore.

Il periodo cruciale ha permesso all’autore di incrociare musicisti appartenenti a generazioni musicali differenti, e dunque tramite i personaggi raffigurati risulta possibile ripercorrere, seppure a grandi linee, la storia e l’evoluzione di un intero genere (Continua a leggere)