FREE FALL JAZZ

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In questi giorni si è letto davvero uno sproposito di omaggi e articoli per celebrare l’anniversario della nascita di John Coltrane. Tutto molto bello, cioè no, mica tanto, perché se ne sono lette di tutti i colori. Leggendo in particolare un lungo articolo su A Love Supreme (tema peraltro davvero scontato e troppo inflazionato per mettere in rilievo la sua figura), mi sembrava di leggere per il tipo di linguaggio usato uno scritto di 40 anni fa, rendendomi conto una volta di più di quanto la prevalente narrazione italica sul jazz sia ancora condizionata e viziata da argomentazioni obsolete di stampo ideologico, zeppe di pregiudizi, stereotipi e cliché critici ormai desueti. Ad esempio, su come siano da intendere concetti come “tradizione” e “avanguardia” nella cultura musicale africano-americana, che mi pare continui ad essere vista solo sotto uno stantio filtro eurocentrico chiaramente distorcente, condito pure con discrete dosi di inconsapevole razzismo. Prendere poi a palate di guano in faccia Wynton Marsalis nel bel mezzo di uno scritto pare diventata una necessità assoluta, un “must”, soprattutto fondamentale per sdoganarsi sbrigativamente nell’olimpo (si fa per dire) davvero molto “cool” dei veri competenti in materia, in grado di fare l’esegesi del jazz ed identificarne la vera arte.

Tutto ciò per quel che mi riguarda è invece solo la rappresentazione plastica di come anche in questo campo, come per tutto il resto, il paese sia provinciale ed invecchiato, rimasto su posizioni culturali fortemente arretrate, ma fatte passare pretenziosamente ancora per avanzate, attribuendo ad altri l’appellativo di “nostalgico” quando si dimostra per primi di esserlo, senza tra l’altro rendersene conto.

Si parla di tradizionalismo verso quei musicisti che con orgoglio oggi conservano memoria della propria tradizione musicale e delle proprie radici, riaffermandone la grandezza e sapendola anche rinnovare. Pare non si possa fare, o meglio, l’afro-americano non possa farlo, pena essere tacciato di conservatorismo reazionario e nemico del progresso musicale e delle innovazioni (ma quali? Ancora quelle di 50 anni fa, a quanto leggo, ossia innovazioni che sono diventate ormai classicità assieme al resto, ma pare che non si riesca ad accorgersene).

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Sarebbe come a dire che ad un italiano venga impedito oggi di affermare la grandezza, che so, del suo melodramma o della canzone napoletana, eppure non ho mai sentito obiezioni in proposito, anzi: “W il Made in Italy” e l’italianità, in piena coerenza con la farlocca e grossolana narrazione renziana odierna. Chissà perché ai neri che osano farlo con la loro tradizione l’accusa nei loro confronti di conservatorismo è ormai di prassi, specie se il “negro” è vestito bene con l’aria borghese di chi “ha fatto i soldi con la sua musica”.
E’ una cosa assolutamente inaccettabile, perché il negro deve presentarsi su un palco vestito in qualche modo, essere incazzato come una bestia, avercela con il sistema sociale e politico del suo imperialistico paese e suonare per quattro soldi e una pacca sulla spalla, senza volersi arricchire (per quello ci pensiamo noi). Ma quel che più conta, deve fare il jazzista e la sua musica come gli diciamo noi debba fare. Insomma fare il “bravo negro”, saltellante come una scimmia agli ordini dell’uomo bianco che gli insegna ad essere un nero impegnato e fare musica come gli si dice, rispondendo con il sorriso sulle labbra: “Sì massa, certo massa, sarà fatto come vuoi tu, massa”. O al più, se vuol essere preso realmente sul serio, deve scimmiottare l’intellettuale bianco europeo (meglio ancora se italico, ammesso che ve ne sia ancora traccia) con tanto di barba e occhialetti d’ordinanza. Allora sì che può essere dichiarato un genio della musica, mica suonando quella roba lì sempliciotta e superata, da negri.

Tra l’altro, detto per inciso, ma come devo considerare un acclamato campione dell’attuale sedicente “avanguardia” come Nate Wooley che ha osato fare un disco sulle composizioni di quel reazionario impunito di Wynton Marsalis? Uno sporco conservatore tradizionalista?  Via, perdoniamolo, è stato solo un incidente di percorso, d’ora in poi passerà a cose più serie.
(Riccardo Facchi)

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