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jazz rap's Articles

Che Steve Lehman fosse un artista estremamente eterodosso si era capito già da tempo: il suo passato come studente di Anthony Braxton e Jackie McLean, insieme a una mole di ascolti eterogenei che spaziano dagli A Tribe Called Quest a Harry Partch, l’hanno portato nell’ultimo decennio a coniare un idioma originale e innovativo che rielabora l’avant-jazz alla luce della sua personale teoria compositiva dell’M-base. A questo si era aggiunto, negli ultimi eccellenti ‘Travail, Transformation, and Flow’ (2009) e ‘Mise en Abîme’ (2014), uno studio sulle possibilità di adottare le tecniche compositive dello spettralismo alla musica jazz, con risultati ulteriormente esotici. (Continua a leggere)

L’avevamo già anticipato nel pezzo su Guru: nella manica c’era pronto un piccolo compendio della golden age del cosiddetto jazz rap. Grossomodo un quinquennio (’88 – ’93) in cui iniziano a germogliare i semi gettati anni prima dai vari precursori (dal Miles di ‘On The Corner’ a Gil Scott-Heron, la lista è ben nota) e l’hip hop apre le sue vedute non solo al jazz, ma alle contaminazioni più disparate. Un matrimonio che, una volta celebrato, resisterà anche quando gli anni delle maggiori fortune commerciali saranno storia vecchia, sfornando proposte interessanti su entrambe le sponde “della barricata” (vi abbiamo già parlato di Russell Gunn, per esempio). Intanto godetevi questa piccola selezione di dischi focalizzata sui cinque anni fondamentali: quasi ognuno di questi titoli meriterebbe un più approfondito articolo a parte, il che però ci porterebbe eccessivamente fuori tema, considerando che ci troviamo sulle pagine di un sito jazz. Non è escluso che possa arrivare più avanti una terza puntata, comunque. (Continua a leggere)

Dopo tanti classici, ecco un Picture This dedicato alle nuove generazioni. Abbiamo scelto un brano di José James (dal Jazz Festival di Vitoria-Gasteiz, in Spagna) che tenta di gettare un entusiasmante ponte tra passato e presente: un’insolita versione di ‘Equinox’ (John Coltrane) arricchita di traccia vocale. Problemi di diritti d’autore gli hanno impedito di inserirla anche su ‘The Dreamer’, ottimo incrocio di jazz, hip hop e tanto altro uscito qualche anno fa, ed è un peccato: ascoltare per credere. La data è 14 Luglio 2011, e ad accompagnare James troviamo Takuya Kuroda (tromba), Grant Windsor (tastiere), Chris Smith (basso), Adam Jackson (batteria). Enjoy.

“L’hip hop è il figlio del be bop”: a propugnare la teoria con queste parole fu un pezzo da novanta come Max Roach, non certo uno qualunque. In ambito jazz però non furono in molti a condividerne il pensiero. Certo, il senso delle sue parole non era letterale, voleva semmai evidenziare quella linea, immaginaria ma facilmente individuabile, che parte dagli spoken word su base intrisa di jazz di Gil Scott Heron , passa per l’Herbie Hancock electro-funk di ‘Rockit’ e arriva a precursori come i rapper Gang Starr, che all’esordio stupivano campionando ‘Night In Tunisia’ per la loro ‘Words I Manifest’, che spianava la strada agli exploit dei vari A Tribe Called Quest, De La Soul o Digable Planets, che pure imbottirono i loro album di campionamenti presi a prestito dal jazz con risultati freschi ed entusiasmanti, dimostrando come la sintesi tra i due generi fosse tutt’altro che inattuabile. Proprio durante il momento di massima popolarità di questi ultimi nomi il discorso compirà un’ulteriore, decisiva sterzata grazie all’intuito di uno dei suoi primi teorizzatori. (Continua a leggere)