FREE FALL JAZZ

Archive for " novembre, 2015 "

Il nome potrebbe far pensare al Black Arts Movement di Amiri Baraka, il ramo artistico del movimento Black Power degli anni ’60, e forse non è una scelta casuale. Il Black Art Jazz Collective, nato nel 2012, è un collettivo, nella forma di sestetto che comprende musicisti ben noti nel panorama newyorkese e americano: Jeremy Pelt (tromba), Wayne Escoffery (sax), James Burton (trombone), Xavier Davis (piano), Vincente Archer (contrabbasso) e Jonathan Blake (batteria). (Continua a leggere)

Il nome di W. Eugene Smith potrebbe non dire niente alla maggior parte di noi, ma questo fotografo della celebre rivista Life si occupò a lungo di jazz. Il suo piccolo e malandato locale sulla sesta avenue di Manhattan divenne una piccola oasi per jazzisti, famosi e sconosciuti: un posto per provare, discutere, o anche solo rilassarsi – e dove Smith poteva scattare tante bellissime foto ai musicisti in condizioni ottimali, in relax e spontaneità. (Continua a leggere)

Le quotazioni di Marquis Hill stanno salendo ed è difficile non esserne contenti, visto il talento dimostrato finora dal giovane trombettista. Già vincitore della difficile Thelonious Monk Competition nel 2014 e autore di una manciata di album autoprodotti, l’ultimo dei quali recensito pure da noi (l’ottimo ‘Modern Flows vol.1′), Marquis Hill è oggetto di una nuova puntata di Jazz Night In America, trasmissione della sempre benemerita NPR. Qui di sotto il filmato, dove si alternano al solito musica dal vivo e intervista.


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Il contraltista William “Sonny” Criss è uno dei tanti esempi di sottostima, financo di ingiusto oblio, di cui è zeppo il racconto della storia del jazz. Le ragioni nel suo caso sono diverse e sovrapponibili. Tra quelle citabili, una, abbastanza comune ad altri, è legata alla modalità con la quale si racconta solitamente la storia di questa affascinante, e per certi versi ancora misteriosa, musica, ossia una sorta di epica intensa, fatta da una rapida sequenza cronologica di singoli geni, protagonisti di svolte o sedicenti “rivoluzioni” epocali, piuttosto che da una articolata sovrapposizione di interscambi e contributi, chi maggiori chi minori, che si sono intrecciati tra loro (non si dimentichi la tradizione fondamentalmente orale della cultura africana- americana), componendo come un puzzle il quadro generale. (Continua a leggere)

E’ la prima volta che Christian Scott affronta un vero e proprio tour italiano, ed era l’ora: si vede che qualche promoter si è svegliato bene. Nel corso di questa settimana sarà possibile assistere a tre concerti del grande musicista di New Orleans – 11/11 (Foggia, Teatro Giordano), 12/11 (Bologna, Bravo Café) e 13/11 (Perugia, Perugia Jazz Club). (Continua a leggere)

È un filo sottile quello che unisce avanguardia e tradizione. Una sfida intrapresa dagli esperti equilibristi del Nasheet Waits “Equality” Quartet che si esibiranno sul palco del Jazz Club Ferrara, nella serata di sabato 7 novembre, per il secondo appuntamento in collaborazione con Bologna Jazz Festival. A fianco del talentuoso leader troviamo Darius Jones al sax alto, Aruán Ortiz al pianoforte e Mark Helias al contrabbasso. (Continua a leggere)

Chi non ha mai visto ‘A Qualcuno Piace Caldo’, il capolavoro di Billy Wilder in cui Jack Lemmon e Tony Curtis, jazzisti spiantati negli anni del proibizionismo, assistono casualmente ad un regolamento di conti fra gangster e per scappare si aggregano ad un’orchestra di jazz femminile (la cui voce solista è Zucchero/Marilyn Monroe), fingendosi donne? (Continua a leggere)

I Tiny Desk Concert sono concerti tenuti nello studio della benemerita emittente NPR – ne abbiamo già pubblicato qualcuno, in passato. Oggi è il turno di Christian Scott, recentemente passato di lì per suonare dal vivo tre brani e rispondere a qualche domanda. Christian indossa la maglietta dei Joy Division: per stavolta passi, ma la prossima vogliamo i Motörhead!


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Uno dei cliché critici su Duke Ellington comunemente accettati, recita che egli debba fondamentalmente la sua fortuna e eccezionale fertilità compositiva, senza pari nella storia del jazz, alla intima condivisione artistica e musicale con Billy Strayhorn, che data dal 1938 sino alla sua morte avvenuta nel 1967. In realtà, la cosa è molto più discutibile di quanto non appaia in prima istanza, in quanto, se si va ad indagare meglio, si scopre che, sia prima dell’avvento di Strayhorn in orchestra, che dopo quel lungo intervallo di tempo, Ellington ha scritto decine di composizioni capolavoro. Di più, oserei dire che gli ultimi anni, in particolare, hanno mostrato un Ellington ancora in eccezionale vena creativa, in grado di sfornare una serie di pagine a largo respiro che sono considerabili tra i massimi capolavori della sua discografia e, conseguentemente, dell’intero jazz. (Continua a leggere)

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E’ diventato un ritornello molto frequentato quello di affermare, anche tra gli stessi musicisti, che il materiale compositivo legato alle canzoni di Broadway o a battutissime composizioni jazzistiche del passato, i cosiddetti “standards” suonati già migliaia di volte, sia ormai pressoché esausto ai fini improvvisativi. Basta, insomma, con “i soliti” standards, basta con la forma chorus a 32 battute. (Continua a leggere)

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