FREE FALL JAZZ

Darius Jones's Articles

È un filo sottile quello che unisce avanguardia e tradizione. Una sfida intrapresa dagli esperti equilibristi del Nasheet Waits “Equality” Quartet che si esibiranno sul palco del Jazz Club Ferrara, nella serata di sabato 7 novembre, per il secondo appuntamento in collaborazione con Bologna Jazz Festival. A fianco del talentuoso leader troviamo Darius Jones al sax alto, Aruán Ortiz al pianoforte e Mark Helias al contrabbasso. (Continua a leggere)

Il vulcanico batterista Gerald Cleaver non è un tipo da starsene fermo troppo a lungo, e difatti eccolo qui con una nuovissima band che parte dal jazz per poi spingersi in altre direzioni. Black Host è il nome del suo nuovo collettivo, un quintetto di cui fanno parte Darius Jones (contralto), Brandon Seabrook (chitarra), Cooper-Moore (piano e synth) e Pascal Niggenkemper (contrabbasso) in cui convivono diverse anime: oltre al jazz infatti trovano posto math-rock, noise, psichedelia ed elettronica che si combinano in una serie di lunghi brani, per  settantasette minuti di musica spigolosa e imperscrutabile. Ogni pezzo è stato scritto da Cleaver, che però lascia ampio spazio ai suoi compagni per esprimersi ed interagire secondo modalità non sempre chiare nè evidenti. (Continua a leggere)

Nella sua nuova uscita, terza su Clean Feed e quinta in generale, il bravissimo contrabbassista Eric Revis assembla una formazione completamente nuova. Per trovare il trait d’union della carriera del musicista americano infatti dobbiamo prendere la volontà di non fermarsi e di esplorare ogni volta il jazz da un’angolazione diversa, con musicisti diversi, ma sempre con grande energia e un forte senso del blues sottinteso. Neppure ‘In Memory…’ da questo punto di vista fa eccezione, e vede all’opera un quartetto con due sax che potrebbe ricordare vagamente quello del ‘Conference Of The Birds’ di Dave Holland. Darius Jones (contralto) e Bill McHenry (tenore) collaborano perfettamente fra di loro, nelle libere improvvisazioni dai toni urlati ‘Hits’ e ‘FreeB’ come nel lento e avvolgente blues ‘Hold My Snow Cone’, sospeso su un grande riff di basso e terreno naturale per il lirismo struggente del contaltista. (Continua a leggere)

Il Seeds è uno spazio privato messo a disposizione dal proprietario per happening musicali e, più in generale, artistici, in pieno spirito newyorkese. Tra i clip caricati, segnaliamo questo concerto dei Black Host, ovvero l’ultima band di Gerald Cleaver, fra i maggiori batteristi viventi. Si dice un gran bene del loro album, speriamo di poterne parlare a breve. Nel frattempo ascoltiamo questa oretta di jazz, sì, ma come lo potrebbe concepire Morton Feldman.


Darius Jones, già apprezzato su queste stesse webpagine, nel 2012 ha trovato pure il tempo di formare una nuova band, ovvero il collettivo Grass Roots, in cui condivide la frontline col sax baritono di Alex Harding. Completano il gruppo Sean Conly (contrabbasso) e Chad Taylor (batteria). Il termine “grass roots” in inglese indica qualunque movimento di aggregazione spontanea, dal basso, e si presta bene a descrivere la musica del neonato quartetto: aggressiva, libera, ricca di groove ed espressività blues anche nei momenti più cacofonici grazie ad un attentissimo lavoro d’insieme. Il lavoro dei due sax funziona molto bene, Darius Jones enfatizza di più il suo lato free e ayleriano (frequenti i sovracuti stridenti) e assume il ruolo del poliziotto cattivo, mentre il baritono di Harding ci ricorda inevitabilmente Hamiett Bluiett e James Carter e si assume con successo pure un ulteriore onere ritmico, grazie all’indovinato uso di riff potenti e staccati. Non di rado il suo sound assume una bella sonorità vibrante che sfuma poi nel barrito grottesco, secondo una tradizione dell’alterazione timbrica che è da sempre parte della storia del jazz. (Continua a leggere)

Ancora una volta il Centro D’Arte di Padova riesce a proporre musicisti giovani e interessanti. È il caso di Darius Jones, sassofonista in Italia solo per due date: Prato e questa di Padova. Originario della Virginia ma trasferitosi nella Grande Mela, Jones ha saputo portare le sue esperienze del blues più rurale a contatto con le nuove tendenze della musica nuovaiorchese. Questa caratteristica è apparsa subito chiara all’apertura del concerto: pochi frasi lamentose che man mano crescono sopra una ritmica molto libera. La voce di Darius è molto interessante; i suoni ruvidi, tipici dei bluesman rurali, sicuramente si sono rafforzati con l’esperienza accanto a Oliver Lake. La musica, basata su sue composizione, mette in evidenza una capacità di scrittura di ottimo livello, passando da ballad di sapori ellingtoniani (Johnny Hodges è di sicuro un riferimento per Darius) a spericolati assoli su sovracuti di retaggio post free. Dopo averlo ascoltato nell’ultima prova in quartetto, ritengo che questa formazione in trio sia la più consona per Jones, dove la sua capacità improvvisativa è più libera e dove l’interplay con gli altri due componenti del gruppo è più forte. (Continua a leggere)

Darius Jones, fra i più interessanti giovani contraltisti emersi negli ultimi anni, non ama stare con le mani in mano. Eccolo quindi col suo terzo album (quarto se si include quello realizzato assieme a Matthew Shipp) da leader in poco più di tre anni, sotto l’egida della sempre interessante AUM Fidelty. Al solito, la formazione è del tutto cambiata: troviamo il contrabbasso di Trevor Dunn, il piano di Matt Mitchell e la batteria di Ches Smith, mentre non è cambiato il bellissimo sax del corpulento leader, dal suono cremoso e bluesy che riporta alla luce Johnny Hodges e Cannonball Adderley. Quelle note vibranti, appassionate, ricche di vibrati e glissando, del resto parlano chiaro, e va reso merito a Jones di aver recuperato un tipo di sonorità oggi quasi estinta. Venendo a ‘Book Of Ma’bul’, ci troviamo di nuovo catapultati nel mondo schizofrenico già evocato in passato, in costante bilico fra recupero delle fonti (il blues, il gospel, Charlie Parker e Ornette Coleman) e la relativa distorsione, spesso e volentieri sorprendente. Il quartetto è davvero bravissimo nel costruire un’aspettativa e poi cambiare totalmente registro in un secondo, ma con naturalezza, senza caos né voglia di strafare. (Continua a leggere)