FREE FALL JAZZ

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Uscita quasi in contemporanea di questi due dischi. Il primo, Duets 71977 (ICTUS 178) è rimasto nei cassetti per quasi 40 anni, rappresenta uno dei periodi più creativi dell’improvvisazione europea. Come riporta anche John Zorn dalle note di copertina, quegli anni furono eccitanti per la possibilità di incontro tra musicisti di qua e di là dell’oceano.  Inglesi, tedeschi, olandesi, italiani ma anche americani, giapponesi e canadesi, avevano grandi possibilità di interscambio non solo musicale ma anche culturale, cose che naturalmente venivano assorbite dalla musica. (Continua a leggere)

Un altro pezzo di storia del jazz che se ne va: Dave Brubeck è morto oggi in un ospedale di Norfolk, Virginia, appena 24 ore prima del suo 92esimo compleanno. Qui la notizia tratta dal Chicago Tribune. Speriamo che dall’altra parte apprezzino i tempi dispari.

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Avrete già letto la notizia: lo scorso 16 Dicembre ci ha lasciati Bob Brookmeyer, il cui inconfondibile trombone a pistoni ha lasciato il segno in sei lunghe decadi di musica jazz.

Da pochissimo era stato ultimato il suo ultimo progetto, ‘Standards’: come facilmente intuibile dal titolo, si tratta del tributo definitivo di Bob, accompagnato ancora una volta dalla sua New Art Orchestra, al cosiddetto american songbook. Un’idea forse non originale nella sostanza, ma di sicuro nella forma: l’album è stato realizzato infatti tramite ArtistShare, piattaforma attraverso la quale i fan possono finanziare direttamente i lavori dei musicisti ottenendo in cambio tutta una serie di vantaggi, che vanno dalla possibilità di interagire e commentare l’andamento delle incisioni a vedere il proprio nome citato tra i credits, fino a videomessaggi personalizzati da parte degli artisti e gadget vari (nel caso di Brookmeyer un Ipod caricato con tutti i video delle sessioni di registrazione e musica scelta da egli stesso).

A questo link è possibile ascoltare un estratto dal disco: una strepitosa versione di ‘How Deep Is the Ocean’. Viene da dire che non avrebbe potuto esserci testamento musicale migliore, per il buon Bob: il brano si trasforma in una sorta di potenziale colonna sonora per un poliziesco anni ’70 e al contempo colpisce per l’utilizzo di suoni compatti e “moderni”, impreziosito infine dall’ottima prova vocale della cantante Fay Claassen. Ascolteremo più che con piacere il resto (acquistabile dal sito di ArtistShare sia in download digitale che in CD, quest’ultimo in edizione limitata a sole 800 copie), ma già questa è più che sufficiente a scrivere nel miglior modo possibile la parola fine su una carriera degna del più profondo rispetto. Celebriamo.

Della storica calata italiana di Jimmy Giuffre datata 1959 vi avevamo già accennato in precedenza. Il fatto clamoroso è che quella sera di Giugno (il 19, per la precisione) al Teatro Adriano di Roma operava anche un’avanguardistica (per i tempi, chiaro) troupe televisiva, intenta ad immortalare l’evento per i posteri. Le telecamere con ogni probabilità erano quelle della RAI, sia perchè ricordo porzioni del concerto trasmesse nel vecchio contenitore di Raitre “Schegge”, sia perchè suppongo nessuno a parte la TV di stato fosse in grado di riprendere professionalmente uno show dal vivo a quei tempi. Tolto Giuffre (sax e clarinetto), il trio era completato dal chitarrista Jim Hall e dal bassista Buddy Clark: abbiamo scelto di proporvi la loro versione (registrata ovviamente quella sera) di ‘Four Brothers’, standard composto proprio da Giuffre durante il suo periodo da arrangiatore nella big band di Woody Herman. Otto minuti di storia.

 

L’errore più comune, che porta alla puntuale e criminosa sottovalutazione di Jimmy Giuffre, è considerarlo solo come uno tra i tanti sassofonisti dell’ondata west coast degli anni ’50. Per carità, le sue radici sono esattamente quelle: come Stan Getz si è fatto le ossa nella big band di Woody Herman (della cui sezione fiati era arrangiatore), a lungo ha fatto anche da sideman a Shorty Rogers, ma è sufficiente un ascolto più attento per convincersi che un’eventuale reputazione da Gerry Mulligan di serie B sarebbe quantomeno ingrata. Già nei suoi dischi degli anni ’50 Giuffre si mostrava insofferente al giogo della west coast e del cool jazz, declinazioni che provava a ravvivare giocando da una parte con sonorità folk e blues e dall’altra con la sua passione per la classica, Debussy in particolare (dalla cui ‘Sonata per flauto, viola e arpa’ si dichiarava ispirato in occasione di ‘The Jimmy Giuffre 3’, esordio del 1956). Molteplici erano i suoi tentativi di oltrepassare gli steccati: si pensi alla partecipazione, nel 1954, al pionieristico ‘The Three & The Two’ di Shelly Manne (sperimentazione proto-free a lungo incompresa) o ancora all’atipico trio col chitarrista Jim Hall e il trombonista Bob Brookmeyer, che rinnegava strumenti ritenuti imprescindibili come batteria, piano e contrabasso (trio che in versione leggermente più “canonica”, col contrabbassista Buddy Clark al posto di Brookmeyer, fu protagonista addirittura di una calata dalle nostre parti, al teatro Adriano di Roma, nel 1959). (Continua a leggere)