Le lunghe mattinate in ufficio vi annoiano? Cercate una colonna sonora per le interminabili nottate su Facebook a chattare con uomini che si nascondono dietro le foto di una tettona? Un sottofondo musicale mentre lavate i piatti in attesa di scoprire se Brooke e il figlio di Ridge hanno fatto davvero zozzerie? Saremo con voi!
Free Fall sta preparando la web radio con la più fica selezione di jazz che possiate mai immaginare. Ore di programmazione non stop per tutti i gusti, ma anche fasce a tema (per sottogenere, novità, registrazioni di interi concerti e quant’altro) e magari più avanti un’oretta settimanale con gente seria tipo noi dietro il microfono. Altre simpatiche iniziative seguiranno.
Tutto molto semplice: quando saremo pronti a partire (più o meno presto, si spera) apparirà il pulsante della radio nella colonna qui accanto e voi avrete solo da cliccarci. Le notti su Facebook non saranno più le stesse.
Della storica calata italiana di Jimmy Giuffre datata 1959 vi avevamo già accennato in precedenza. Il fatto clamoroso è che quella sera di Giugno (il 19, per la precisione) al Teatro Adriano di Roma operava anche un’avanguardistica (per i tempi, chiaro) troupe televisiva, intenta ad immortalare l’evento per i posteri. Le telecamere con ogni probabilità erano quelle della RAI, sia perchè ricordo porzioni del concerto trasmesse nel vecchio contenitore di Raitre “Schegge”, sia perchè suppongo nessuno a parte la TV di stato fosse in grado di riprendere professionalmente uno show dal vivo a quei tempi. Tolto Giuffre (sax e clarinetto), il trio era completato dal chitarrista Jim Hall e dal bassista Buddy Clark: abbiamo scelto di proporvi la loro versione (registrata ovviamente quella sera) di ‘Four Brothers’, standard composto proprio da Giuffre durante il suo periodo da arrangiatore nella big band di Woody Herman. Otto minuti di storia.
L’errore più comune, che porta alla puntuale e criminosa sottovalutazione di Jimmy Giuffre, è considerarlo solo come uno tra i tanti sassofonisti dell’ondata west coast degli anni ’50. Per carità, le sue radici sono esattamente quelle: come Stan Getz si è fatto le ossa nella big band di Woody Herman (della cui sezione fiati era arrangiatore), a lungo ha fatto anche da sideman a Shorty Rogers, ma è sufficiente un ascolto più attento per convincersi che un’eventuale reputazione da Gerry Mulligan di serie B sarebbe quantomeno ingrata. Già nei suoi dischi degli anni ’50 Giuffre si mostrava insofferente al giogo della west coast e del cool jazz, declinazioni che provava a ravvivare giocando da una parte con sonorità folk e blues e dall’altra con la sua passione per la classica, Debussy in particolare (dalla cui ‘Sonata per flauto, viola e arpa’ si dichiarava ispirato in occasione di ‘The Jimmy Giuffre 3’, esordio del 1956). Molteplici erano i suoi tentativi di oltrepassare gli steccati: si pensi alla partecipazione, nel 1954, al pionieristico ‘The Three & The Two’ di Shelly Manne (sperimentazione proto-free a lungo incompresa) o ancora all’atipico trio col chitarrista Jim Hall e il trombonista Bob Brookmeyer, che rinnegava strumenti ritenuti imprescindibili come batteria, piano e contrabasso (trio che in versione leggermente più “canonica”, col contrabbassista Buddy Clark al posto di Brookmeyer, fu protagonista addirittura di una calata dalle nostre parti, al teatro Adriano di Roma, nel 1959). (Continua a leggere)
L’idea originale era piuttosto semplice: uno spazio per consigliare vecchi dischi passati per un motivo o per l’altro sotto silenzio. Da lì poi ci siamo lasciati prendere la mano: perché limitarci solo al, pur ottimo, vecchiume? E allora via i paletti ed ecco Free Fall.
“Free” perché tendiamo a non essere incravattati, ingessati e/o pretenziosi, ma anche perché scriviamo più o meno quel che ci pare quando ci pare (purché abbia una minima attinenza con jazz e dintorni), senza essere costretti a stare necessariamente sul pezzo.
“Fall” perché così il titolo è direttamente ispirato a un album che da queste parti apprezziamo particolarmente.
E poi Jimmy Giuffre era tanto amato anche da quest’uomo qui, che proprio a lui s’ispirò per scegliersi il nome di battaglia: un motivo in più.
Perché il jazz non inizia con ‘Kind Of Blue’ e non finisce con ‘A Love Supreme’.