FREE FALL JAZZ

Tim Berne's Articles

Finita anche questa edizione, la 37esima. Il programma presentato quest’anno poteva non essere all’altezza di quello dell’anno scorso, ma invece molte sono state le sorprese come, logicamente, le delusioni. La programmazione al Nexus, alternativa al main stage e denominata Short Cuts, ad esempio ha presentato tutti set di alto interesse. E da qui partiamo… (Continua a leggere)

Forte dell’abbrivio di successi e riconoscimenti delle scorse stagioni, il Jazz Club Ferrara si appresta ad inaugurare la XVII edizione di Ferrara in Jazz che si svolgerà, dal 16 ottobre 2015 al 30 aprile 2016, tra le storiche mura del Torrione San Giovanni, bastione rinascimentale iscritto nella lunga lista dei beni UNESCO e tra le location per il cinema di Emilia-Romagna Film Commission. (Continua a leggere)

A leggere in giro, per molti questo album del contrabbassista Michael Formanek sarebbe il segno che sì, forse la ECM riapre le porte al jazz. Da lì ad avere un minimo di curiosità il passo è stato breve, ancor più breve dopo aver visto che del piano se ne occupa il magnifico Craig Taborn e della batteria Gerald Cleaver, due musicisti stimatissimi da chi scrive. Al sax c’è Tim Berne, approdato proprio di recente alla corte di Manfred Eicher e non esattamente l’ultimo dei bischeri. Una copertina che, almeno per una volta, non rappresenta fiordi, brughiere o colli ventosi, ma uno squarcio di New York, invoglia ulteriormente all’ascolto. Si parte. La musica di ‘The Rub And The Spare Change’ è ambiziosa e complessa, con ognuno dei quattro musicisti ben posizionato su un binario metrico leggermente sfasato da quello dei compagni. Mancano temi di facile presa come dei groove in grado di trascinare e mettere a suo agio l’ascoltatore, se non occasionalmente: una caratteristica non certo esclusiva di questo album, che però qui pesa particolarmente. (Continua a leggere)

Tornare a Saalfelden dopo quasi 30 anni, dove al posto del tendone poggiato su un prato, memore di antiche edizioni di Umbria Jazz “free”, trovi una sala congressi con annessa sala VIP e un locale adatto ad ascoltare musica, beh, non poteva che far piacere. Certo, nonostante l’ottima organizzazione di uno staff giovane e sempre interessato alle nuove proposte della scena, soprattutto nuovaiorchese, qualche problema resta sempre da risolvere, come la disponibilità delle sedie nella CongressHalle, ma alla fine risultano intoppi marginali.

La musica dunque. Si parte giovedì 23: lasciando perdere le proposte del Citystage, un tendone (ah, eccolo!) nella piazza principale, sia per la mancanza di interesse verso le stesse sia per mancanza di tempo, si parte dal Nexus, dove si presentano gli Shortcuts. Il Nexus è un piccolo teatro con balconata, annesso ad un delizioso e funzionale bar-ristorante molto accogliente, da qui parte il vero Jazz Festival giunto ormai alla sua 33° edizione. La proposta di apertura, coraggiosa, è il quartetto di Christian Muthspiel con guest Steve Swallow. L’idea di coniugare la musica del rinascimento con il jazz non è proprio nuova, anche se sviluppata per portare una improvvisazione dai colori free. Un progetto che, nonostante la presenza di Swallow e soprattutto di Tortillier al vibrafono, resta piuttosto freddo e distaccato dalla comunicazione con il pubblico. La seconda proposta, gli Steamboat Switzerland, è stata devastante dal punto di vista della potenza di suono: un organo, un basso elettrico e una batteria; per quelli che come me erano in prima fila, un impatto devastante. Qui il jazz e l’improvvisazione non c’entrano niente: un trio che si rifà a tanto rock progressivo anni ’70 senza sviluppare assolutamente niente, tutta la musica era scritta, il che fa pensare… Notevoli i pantaloni a zampa d’elefante del tastierista, che mi hanno fatto ricordare il gruppo glam rock degli Slade! (Continua a leggere)

Non si faccia l’errore di cassare ‘The Veil’ solo come “l’ennesimo disco in cui sbuca Nels Cline”.  Stare dietro alle sue sterminate attività può diventare frustrante, non v’è dubbio (ne sanno qualcosa quelli del suo sito ufficiale, che hanno smesso di tenere il conto della discografia ormai nel 2005), ma se volete ascoltare solo una delle sue produzioni recenti (possiamo dirvi che l’uomo ha partecipato a circa una decina di titoli di vario genere solo nell’ultimo biennio), fate che sia questa. L’occasione è una manciata di serate, circa giugno 2009, presso The Stone (il locale newyorkese diretto dal buon Zorn), per le quali il chitarrista si circonda di brava gente: nello specifico, Tim Berne al contralto e Jim Black alla batteria. L’intesa e l’interplay lasciano letteralmente senza fiato:  i tre si cercano, si trovano, si punzecchiano e si cedono vicendevolmente la scena con la naturalezza propria dei grandi. Stilisticamente si parte con quel che ci si aspetterebbe: sguazzare liberi (appunto) tra free e avantgarde per circa un’ora di improvvisazione collettiva (seppur divisa in nove temi più o meno ben distinti) certamente figlia del citato Zorn, ma che nei momenti più “classici” rievoca il fantasma di Ayler (e a tratti anche il suo “pargolo degenere” Gayle) e minuto dopo minuto si svela assolutamente prodiga di sfumature e contaminazioni. (Continua a leggere)