FREE FALL JAZZ

tutto il resto è noia e a pensarci bene pure questo's Articles

Il signore che vedete qui sopra è Manfred Eicher, padre-padrone della rinomata ECM Records, etichetta tedesca in attività dal 1969. Hanno inciso per ECM artisti come Keith Jarrett, l’Art Ensemble Of Chicago, Dave Holland, Paul Bley, Paul Motian, Charles Lloyd, Marion Brown, Jan Garbarek – jazzisti, per definirli in una parola sola. Nel 1984 nasce la costola ECM New Series, che pubblica gente come Arvo Paart, Heiner Goebbels, Meredith Monk, Ketil Bjornstad, Valentin Silvestrov, ascrivibili al giro della “contemporanea”. Forse. Il punto è, adesso, chissenefrega? Immagino questo salti per le menti di voialtri lettori. Ebbene, quella che segue è un’elucubrazione personale che non so quanto possa interessare il resto del mondo. (Continua a leggere)

Il materiale biografico che accompagna questo album cita le celebri parole del critico Whitney Balliet (“il jazz è il suono della sorpresa”) e prosegue affermando che, seguendo lo stesso criterio di valutazione, ‘Cuts’ sarebbe “il suono per colpire e terrorizzare”. Partendo da questi due presupposti in sequenza, ‘Cuts’ alla fine sorprende poco ed è esattamente quello che ci può aspettare da una joint venture fra il re del noise giapponese Merzbow, il suo collaboratore Balasz Pandi alla batteria e un sassofonista del giro di Peter Broetzmann come Mats Gustafsson: un assalto di noise assordante e distruttivo. Esattamente uguale, cioè, a quel che fa Merzbow di solito, con tantissimo rumore bianco che satura ogni frequenza, accompagnato stavolta da un sax/clarinetto petomane e da una batteria asincrona e fragorosa, di quelle che non imprimono un moto alla musica, ma aggiungono volume e caos. Del resto, la musica non è nemmeno contemplata qui dentro: si va avanti con eruzioni di rumore che puntano a stordire e prostrare l’ascoltatore, portandolo all’inevitabile insensibilità. Certo, ci si può arrivare ben prima della fine del disco, che dura appena settanta minuti. (Continua a leggere)

A leggere in giro, per molti questo album del contrabbassista Michael Formanek sarebbe il segno che sì, forse la ECM riapre le porte al jazz. Da lì ad avere un minimo di curiosità il passo è stato breve, ancor più breve dopo aver visto che del piano se ne occupa il magnifico Craig Taborn e della batteria Gerald Cleaver, due musicisti stimatissimi da chi scrive. Al sax c’è Tim Berne, approdato proprio di recente alla corte di Manfred Eicher e non esattamente l’ultimo dei bischeri. Una copertina che, almeno per una volta, non rappresenta fiordi, brughiere o colli ventosi, ma uno squarcio di New York, invoglia ulteriormente all’ascolto. Si parte. La musica di ‘The Rub And The Spare Change’ è ambiziosa e complessa, con ognuno dei quattro musicisti ben posizionato su un binario metrico leggermente sfasato da quello dei compagni. Mancano temi di facile presa come dei groove in grado di trascinare e mettere a suo agio l’ascoltatore, se non occasionalmente: una caratteristica non certo esclusiva di questo album, che però qui pesa particolarmente. (Continua a leggere)