FREE FALL JAZZ

New Orleans's Articles

Questo pezzo che oggi pubblichiamo è la versione originaria, ma leggermente modificata e corretta, dell’articolo che è comparso sul numero di Giugno 2015 di Musica Jazz. Ho pensato che la multimedialità offerta dalla rete potesse arricchirlo con tutti i riferimenti e quasi tutti i brani citati in quello scritto su carta stampata che viceversa diventava un articolo ad uso quasi esclusivo di esperti in possesso di quel materiale, cioè in definitiva non nella disponibilità di tutti. Spero che la cosa sia di un qualche interesse e/o utilità. Buona video lettura. (Continua a leggere)

Starz è uno dei maggiori network via cavo degli Stati Uniti. Fra messe in onda di materiale altrui e creazione di materiale originale, in forma di moderne serie tv, è un’azienda creativa di grande successo. (Continua a leggere)

Abbiamo scritto tante volte, fra il serio e il faceto, contro le stronzate sparse ai quattro venti da Renzo Arbore sull’italianità del jazz. Basta scorrere l’archivio. Siamo felici che gente più in gamba di noi abbia deciso di scrivere un corposo saggio etnosociomusicologico sull’argomento e pubblicarlo gratuitamente online due volte a settimana, lunedì e giovedì. Parliamo del critico Gianni Morelenbaum Gualberto, la cui opera uscirà a cadenza quindicinale presso gli amici di Tracce di Jazz. Qui tutti i dettagli. Quando le falsità e le idiozie superano il livello di guarda e restano impunite, è bene alzare la testa.

Il Postmodern Jukebox è una delle cose più situazioniste in cui possiate mai imbattervi.

L’idea di base è semplice tutto sommato: un ensemble di musicisti che decostruisce i più noti successi del pop contemporaneo riplasmandoli attraverso stili più o meno vintage. Ce n’è per tutti i gusti – ragtime, country e bluegrass, persino mariachi (!!!) – e nessuno viene risparmiato: da Kesha a Lady Gaga, dagli One Direction a Lana Del Rey.  E pensare che il titolare dell’operazione, il pianista di stanza a New York Scott Bradlee, prima di giungere al modello vincente era uno snob che con questa roba non voleva aver niente a che fare: (Continua a leggere)

L’errore di album come questo è a monte, nella malcelata malafede. Come dar torto, però, a chi orchestra il piano? Ci guadagnano tutti, a ben vedere. Per Marsalis è un’opportunità in più per far conoscere le proprie capacità di trombettista oltre la cerchia del jazz. Per Clapton è la possibilità di togliersi uno sfizio da pensionato annoiato e magari sentirsi anche elogiare per la maturità e la voglia di mettersi in discussione. Per l’etichetta, poi, è un vero invito a nozze: spesa esigua (perché realizzare una registrazione live costa di certo meno che un album in studio) e un disco potenzialmente vendibile a due tipologie di pubblico. Gli unici a prendersela in quel posto sono quelli che spendono i fatidici 18 euro (o anche di più, nel caso della combo CD+DVD) per portarsi a casa ‘Play The Blues’.

La scaletta pesca principalmente classici dagli anni ’40 a ritroso, orientata soprattutto sul versante dixieland/New Orleans, seppur con qualche variante blues. Questi ultimi sono ovviamente i momenti in cui Clapton sembra più a suo agio, mentre altrove è letteralmente sovrastato dalla big band messa insieme da Marsalis, il quale, tra classe e mestiere, non sfigura, ma non è che avessimo bisogno di un disco come questo per ricordarcelo. (Continua a leggere)