FREE FALL JAZZ

L’errore di album come questo è a monte, nella malcelata malafede. Come dar torto, però, a chi orchestra il piano? Ci guadagnano tutti, a ben vedere. Per Marsalis è un’opportunità in più per far conoscere le proprie capacità di trombettista oltre la cerchia del jazz. Per Clapton è la possibilità di togliersi uno sfizio da pensionato annoiato e magari sentirsi anche elogiare per la maturità e la voglia di mettersi in discussione. Per l’etichetta, poi, è un vero invito a nozze: spesa esigua (perché realizzare una registrazione live costa di certo meno che un album in studio) e un disco potenzialmente vendibile a due tipologie di pubblico. Gli unici a prendersela in quel posto sono quelli che spendono i fatidici 18 euro (o anche di più, nel caso della combo CD+DVD) per portarsi a casa ‘Play The Blues’.

La scaletta pesca principalmente classici dagli anni ’40 a ritroso, orientata soprattutto sul versante dixieland/New Orleans, seppur con qualche variante blues. Questi ultimi sono ovviamente i momenti in cui Clapton sembra più a suo agio, mentre altrove è letteralmente sovrastato dalla big band messa insieme da Marsalis, il quale, tra classe e mestiere, non sfigura, ma non è che avessimo bisogno di un disco come questo per ricordarcelo. Quanto è credibile poi un Clapton che all’improvviso si atteggia a figlioccio di Armstrong, tanto da cercare di emularne goffamente pure il caratteristico timbro vocale? La domanda, ovviamente, è retorica: l’anello debole è proprio lui, evidentemente impacciato, talvolta a disagio, quasi fuori contesto. Un problema che Marsalis non ha avuto, per esempio, nel buon disco in coppia con Willie Nelson, nelle cui inclinazioni folk/blues ha trovato terreno fertile. Con l’ex chitarrista dei Cream questo non succede, soprattutto per la difficoltà nel trovare un buon punto d’incontro: il jazz resta da una parte, il blues dall’altra.

La paraculissima (e dispensabilissima) versione di ‘Layla’ è infine il pessimo specchietto per le allodole, buono giusto a smerciare qualche copia in più: Clapton dice che non la voleva e che ad insistere sia stato il bassista Carlos Henriquez, ma tant’è. Potremmo sottolineare pure come il lavoro di missaggio sia a tratti approssimativo, ma sarebbe come sparare sulla croce rossa.

Servisse almeno a far scoprire a qualcuno le origini del jazz acquisterebbe una lontana parvenza di utilità, ma per espiare tutti i peccati ci vorrebbe ben altro. (Nico Toscani)

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