FREE FALL JAZZ

Stefano Bollani's Articles

Durante la mia chiacchierata di circa un anno fa con Caterina Palazzi, una cosa mi colpì in particolare: la sicurezza con cui spiegò come, secondo lei, i nuovi brani a cui stava lavorando fossero migliori di quelli del pur ottimo debutto. Parole che non trasudavano presunzione quanto semmai vivo entusiasmo, ben distante dal classico “il nuovo disco è il migliore che abbia mai fatto” che, meccanicamente e con sempre meno convinzione, ormai tutti (o quasi) ripetono con sinistra puntualità ad ogni uscita. (Continua a leggere)

Succede che una mattina ti alzi e scopri che sta arrivando in pompa magna un nuovo disco di Bollani. Un disco che in realtà è nuovo solo per l’Italia, ché per il mercato giapponese era già uscito dieci anni prima, contribuendo alla consacrazione del pianista nostrano anche presso il pubblico dagli occhi a mandorla. Quel disco, ‘Volare’, io l’ho ascoltato: se volete saperlo, incarna alla perfezione il prototipo del suono jazz “sterilizzato” a cui faceva già cenno l’amico Negrodeath in un articolo di qualche tempo fa. (Continua a leggere)

Potremmo spendere intere pagine provando a spiegare perché solo l’idea di una joint venture Corea/Bollani ci faccia venire i brividi, ma sarebbe un ingeneroso supplizio nei confronti di chi legge. Alla fine il disco arriva ugualmente nei negozi e assieme a lui il puntualissimo e UNANIME consenso della critica: “un’intesa che ha dello straordinario”, “un raffinato jazzista di casa nostra all’altezza di una leggenda del genere”, “soavi melodie, geniali improvvisazioni”. Non cito testualmente, ma ci siamo capiti. Tuttavia è anche ora che qualcuno lo dica: ‘Orvieto’ è una sòla. Fumo negli occhi per presunti intenditori, cultori del bello e pseudo-intellettuali per cui il jazz è una spilletta da ostentare a garanzia della propria credibilità.

Dietro questi 80 (OTTANTA) minuti di plin plin plin (registrati live, senza accompagnamento, ad Umbria Jazz negli ultimi giorni del 2010) c’è davvero ben poco. Che i nostri si cimentino con materiale creato ”a braccio” appositamente per l’occasione o con la rilettura di qualche bossa nova (corrente della quale, a quanto pare, sono entrambi molto ghiotti) non fa differenza: le improvvisazioni suonano caotiche e la tanto sbandierata sintonia tra i due pianisti pare essere piuttosto fantomatica. (Continua a leggere)