FREE FALL JAZZ

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Se ne è parlato per anni, del film su Miles Davis. Anni di voci, pettegolezzi, oggi inizia, domani finisce e così via, arrivando a enormi niente di fatto. (Continua a leggere)

Dell’interesse per il jazz dell’attrice americana Molly Ringwald avevamo già parlato, e ora che il suo album d’esordio arriva finalmente nei negozi possiamo anche dire che la nostra intuizione non era sbagliata: alla base dell’operazione c’è tanta passione. Un amore che trapela anche dalla selezione dei brani, che tributano il great american songbook senza fare scelte troppo ovvie, anzi, andando a scandagliare in profondità evitando “i soliti noti”. Un labor of love, direbbero gli inglesi, e per questo tanta stima per Molly, anche se purtroppo i buoni propositi non si traducono automaticamente in buoni dischi. E qui arrivano le note dolenti. Non perché la Ringwald non sappia cantare, anzi: la sua voce nasale e a tratti “sottile” non riscriverà la storia, ma di certo si dimostra tranquilla e a proprio agio, assolvendo più che bene il compito. Il problema vero, semmai, è l’eccessiva morigeratezza dell’insieme: la scaletta privilegia le ballad o pezzi comunque dal basso potenziale ritmico. (Continua a leggere)

Fuori da ormai un anno abbondante, ma vale ugualmente la pena spendere qualche parola su ‘Clint’, quinto lavoro degli svedesi Oddjob. I quattro predecessori si rifacevano grossomodo al Miles periodo elettrico, ma è in questo disco che si svela definitivamente il loro animo audace, “umoristico” e, concedetecelo, “cazzone” (tutti aggettivi da intendere nell’accezione migliore possibile). Come già intuibile dalla copertina, il Clint del titolo altri non è che l’immarcescibile Eastwood: il quintetto si è divertito a reinterpretare dodici tra i più famosi temi che hanno accompagnato sullo schermo personaggi come Joe “Il Biondo”,  Harry Callaghan (lo scriviamo all’italiana, spero ci perdonerete) o il Cavaliere Pallido. Una scelta forse non originalissima (già Zorn, per dirne uno, si è ampiamente soffermato sulle riletture di Morriconi*), ma che si lascia apprezzare innanzitutto per la voglia di dare risalto a un interprete piuttosto che ai soli compositori (idea, questa, già più originale) oltre che per i risultati dal punto di vista strettamente musicale. (Continua a leggere)