FREE FALL JAZZ

tastiere di merda's Articles

Il nome di Wayne Escoffery, con ogni probabilità, è noto essenzialmente ai seguaci di Tom Harrell, nel cui quintetto ricopre da qualche anno il posto di sassofonista. E con merito, va detto. ‘The Only Son Of One’ è la sua ultima uscita da leader, a pochi anni di distanza dall’ottimo ‘Uptown’ che riaggiornava il quartetto soul jazz fatto di sax, chitarra, organo e batteria. Stavolta le coordinate stilistiche, così come le ambizioni, sono molto diverse: si tratta, essenzialmente, di un complesso disco concept incentrato sull’autoanalisi e sul venire a patti con una brutta infanzia e un padre violento. Una narrazione complessa che viene affrontata come un percorso fatto di atmosfere contrastanti in nove brani ben arrangiati e complessi, tutti scritti da Escoffery seguendo un po’ il modello compositivo di Harrell: melodie chiare e luminose, lunghi assolo ben legati al tema, band compatta, arrangiamenti che mettono in risalto i diversi caratteri dei brani e delle sezioni. (Continua a leggere)

Mi ero imbattutto in Greg Ward, giovane sax contralto di Chicago, nel progetto ‘People, Places And Things’ del batterista Mike Reed (ne riparleremo diffusamente, promesso. Forse). Dato questo brillante precedente, e considerate anche le buone recensioni lette online, mi sono fiondato senza patemi sul suo album di debutto, perché di solito mi fido di me e ci azzecco. ‘South Side Story’ nasce come sintesi delle esperienze accumulate sinora da Ward, esperienze che lo hanno visto a fianco di Al Jarreau, Von Freeman, l’elettronica dei Prefuse 73, il già citato Mike Reed e altro ancora. Ma la strada per l’inferno è lastricata di buone intenzioni, si sa. Infatti le qualità sassofonistiche di Ward non sono minimamente in discussione, quelle compositive non sono affatto banali, però è evidente che qualcosa, da qualche parte, sia andato clamorosamente storto se il disco suona così formale, freddo e poco coinvolgente.

Le composizioni, complesse e ricche di spunti, soffrono di due grossi problemi: il primo è una tendenza eccessiva al dramma, all’epos, alla pesantezza, sia che si tratti di pezzi quasi totalmente acustici, sia che entrino in gioco chitarre distorte (praticamente metal, a tratti) ed effettistica; il secondo, una sezione ritmica rigida e statica che, dopo un po’, annoia. (Continua a leggere)