FREE FALL JAZZ

Il nome di Wayne Escoffery, con ogni probabilità, è noto essenzialmente ai seguaci di Tom Harrell, nel cui quintetto ricopre da qualche anno il posto di sassofonista. E con merito, va detto. ‘The Only Son Of One’ è la sua ultima uscita da leader, a pochi anni di distanza dall’ottimo ‘Uptown’ che riaggiornava il quartetto soul jazz fatto di sax, chitarra, organo e batteria. Stavolta le coordinate stilistiche, così come le ambizioni, sono molto diverse: si tratta, essenzialmente, di un complesso disco concept incentrato sull’autoanalisi e sul venire a patti con una brutta infanzia e un padre violento. Una narrazione complessa che viene affrontata come un percorso fatto di atmosfere contrastanti in nove brani ben arrangiati e complessi, tutti scritti da Escoffery seguendo un po’ il modello compositivo di Harrell: melodie chiare e luminose, lunghi assolo ben legati al tema, band compatta, arrangiamenti che mettono in risalto i diversi caratteri dei brani e delle sezioni. L’ascolto è comunque scorrevole, grazie ad una vena melodica felice e ad un saliscendi emotivo ben realizzato, grazie a momenti molto accesi ed intensi alternati ad oasi pacifiche quasi nu-soul (vedi la title track). Molto efficace l’interazione fra sax, piano e Fender (a cura di Orrin Evans), mentre la sezione ritmica procede potente e decisa, anche se a tratti un po’ rigida. Ma… c’è un “ma”: orrende, insopportabili tastiere. Forse nel tentativo di “spiritualizzare” ulteriormente i momenti più pacifici, o di contrastare in maniera più marcata le eruzioni del sax (sempre ben controllato), l’album è costellato dagli interventi delle tastiere di Adam Holzman, che sono fredde, plastificate, molto più adatte a qualche porcheria fusion. L’impasto timbrico ne risulta fatalmente condizionato, e di conseguenza l’album nel suo complesso perde intensità, adagiandosi a tratti su una certa spiritualità artificiosa e un po’ new age.

Peccato, perché la scrittura in sè è brillante, e Wayne Escoffery un sassofonista di grandi qualità, con un fraseggio sinuoso che ricorda un po’ Mark Turner – solo lui riesce a tenere la barca in pari pure nei momenti in cui le tastiere di fanno più invadenti. Peccato, sarà per la prossima volta. (Negrodeath)

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