I Tarbaby sono solo un’altra emanazione della personalità artistica di Orrin Evans, in congiunzione con Eric Revis (basso) e Nasheet Waits (batteria). I tre amici concepiscono i Tarbaby come un gruppo paritario, senza leader, a cui aggiungere di volta in volta ospiti: così è stato in tutte le precedenti pubblicazioni (val la pena di nominare lo splendido ‘The End Of Fear’, la cui recensione attende da tempo nel cimitero delle buone intenzioni), e questo disco non fa eccezione. Troviamo di nuovo il sax di Oliver Lake e, per la prima volta, la tromba di Ambrose Akinmusire. I tredici brani di ‘Ballad Of Sam Langford’ non sempre hanno temi definiti o groove fissi, più che altro partono da qualche elemento minimo e poi si sviluppano liberamente, per durate che non superano i sette minuti. Molto belli i dialoghi fra Lake e Akinmusire, capaci di intrecciarsi con grande profitto grazie a personalità opposte e complementari in pezzi come ‘Title Bout’, ‘When’ o ‘ Rolling Vamp’. Il trio base naturalmente si merita tutti gli encomi possibili per il modo in cui articola suoni e dinamiche, al punto che preso nell’insieme l’album suona quasi come una suite in cui ogni movimento, pur elusivo e privo di immediati appigli, si incastra perfettamente coi precedenti e i successivi, fra austero camerismo e controllate free form affumicate nel blues. E’ come se i Tarbaby amplificassero gli spigoli e le asperità della musica di Eric Dolphy, del quartetto di Ornette Coleman, a tratti persino di Greg Osby, con ritmiche poderose e linee melodiche oblique, ambigue, ad un passo dalla dissoluzione ma in realtà sempre pronte a ricadere in piedi, a dimostrazione della perfetta intesa del trio e dei suoi ospiti.
Ottimo disco da parte di un’ottima band, una delle tante realtà americane che non vedremo mai da queste parti. Eh vabbeh, intanto almeno li possiamo ascoltare!
(Negrodeath)