FREE FALL JAZZ

Il 2013 è stato pure l’anno dei Black Sabbath. Tre quarti della formazione originale si sono riuniti per un nuovo album, ’13′, in verità fra i peggiori della loro carriera, e un nuovo tour di grandissimo successo. Bene, ma cosa c’entra col jazz una delle band storiche dell’hard rock e del metal? Di per sè un bel niente. Però Russell Gunn, grandissimo trombettista e leader di cui già ci siamo occupati approfonditamente, ha deciso di dedicare il suo ultimo cd a rivisitazioni del repertorio di Ozzy Osbourne e soci. Russell dimostra di conoscere bene la discografia dei Sabbath, visto che va a riprendere classici della primissima fase (i primi quattro album), quelli con una traccia blues esplicita o implicita e quindi potenzialmente più adatti ad essere esplorati secondo la sua estetica “etnomusicologica”: partire col jazz, riannodare i fili delle diramazioni, portare alla luce le connessioni nel segno della musica nera. ‘Elektrik Funeral’ vede la band elettrica di Russell (tromba, basso, chitarra, tastiere e batteria), più una serie di ospiti, intenti nella trasformazione di riff e melodie portanti in splendide jam di jazz elettrico dalle fortissime connotazioni funk e go-go. E’ straniante, per chi conosca già gli originali,  sentire il riff gigantesco di ‘Electric Funeral’ come base di un jazz funk acido (ma con accelerazione centrale davvero violenta), oppure l’odiosa ‘Changes’ trasformata in un brano epico dalle tinte gospel. Tra gli ospiti, Robert Glasper in una ‘Wicked World’ che conserva il beat rock originario alternandolo a più morbide atmosfere soul e funk, Branford Marsalis che incendia una tiratissima ‘Lord Of This World’, e Fred Wesley che presta il suo trombone ad una incredibile ‘Iron Man’ che unisce magicamente i Sabbath con il funk di Maceo Parker. Gran rilievo, oltre alla tromba di Russell (effettata e non), ha ovviamente la chitarra di Ede Wright, dura e pesante, certo lontana da quel che si sente di solito in un album jazz.

Fa piacere vedere musicisti così ispirati, capaci di affrontare repertori e suoni teoricamente lontani senza scadere nell’ovvietà ben confezionata (vero, Roberto Glasper?). Questo album è consigliato a tutti, anche se la chitarrona potrebbe far storcere qualche naso. Ma ci farete l’abitudine!
(Negrodeath)

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