FREE FALL JAZZ

Nel 2015 Kamasi Washington pubblica il suo primo album, l’ambizioso e roboante ‘The Epic’. Ad esso ho dedicato una recensione e un paio di altri articoli a latere: uno sulle inevitabili polemiche scatenate dalla frangia di critica più ideologizzata, l’altro sulle potenziali conseguenze dell’hype. A distanza di due anni, posso dire che ‘The Epic’ è un disco davvero buono che pecca, sostanzialmente, di logorrea; tagliare, sforbiciare, condensare il meglio in un solo album l’avrebbe reso più potente e incisivo – ma prendetelo come un parere personale, non come una condanna. Riguardo all’hype, era una profezia autoavverante che si è puntualmente avverata. Me ne sono accorto soprattutto in questi giorni in cui esce ‘Harmony Of Difference’, il nuovo ep del musicista losangeleno. La recensione di FFJ arriverà, mentre scrivo non ne ho sentito nemmeno un secondo, quindi non ho nessuna opinione a riguardo. Mi è capitato però di leggerne già diverse in giro, su siti che normalmente, del jazz, se ne strafregano. E fanno benissimo, in base a linea editoriale, aree di interesse e staff in grado di coprirle, si spera con la dovuta competenza. La carenza di quest’ultima viene fuori proprio quando si parla di cose estranee, come il jazz, e lo vediamo bene grazie a Kamasi Washington! Molte testate, online e suppongo pure di carta, si stanno occupando di ‘Harmony Of Difference’, perché esce su Brainfeeder che è abituata a lavorare in altri settori. La loro visione dell’album si può sintetizzare così:

“Kamasi Washington è il salvatore del jazz, grazie a lui questa musica può rivivere e trovare nuova linfa, altrimenti era prigionera di sterili virtuosi che cercavano di rivivere i fasti dell’età del be-bop.”

Queste stronzate le può scrivere chi, di jazz, non sa assolutamente nulla. Alcuni scrivono addirittura, nel paragrafo introduttivo, che ‘The Epic’ sia indiscutibilmente e naturalmente il miglior disco jazz degli ultimi trent’anni – affermazione talmente eccessiva e categorica che ben si presta alla voce narrante di Paolo Villaggio (“Si trattava del più incredibile disco jazz degli ultimi sessantacinque anni!”), giusto per evidenziare la completa mancanza di percezione della realtà. Ma sì, il migliorissimo, immagino che l’opera di (sparo i primi che mi vengono in mente) Ron Miles, Steve Coleman, Geri Allen, Kenny Garrett, Henry Threadgill, Wynton e Branford Marsalis, James Carter, Dave Holland, Greg Osby, Russell Gunn, Maria Schneider, Terence Blanchard, Orrin Evans, Jason Moran, Gonzalo Rubalcaba, Dave Douglas, Joe Lovano, Arturo O’Farrill, William Parker, Arthur Blyte, Tom Harrell, David Murray sia ben nota e quindi possano scegliere senza alcun dubbio ‘The Epic’ come apice dello zenith del culmine del jazz termonucleare. Per girare la questione da un altro punto di vista, è come se la Blue Note o la Motema tirassero fuori un disco indie rock, lo promuovessero nel giro del jazz, e mi ci imbattessi pure io, apprezzandolo molto. A quel punto potrei buttarmi, scriverne, consigliarlo; o forse no, perché di indie rock non so niente e le mie impressioni potrebbero essere del tutto fuorvianti o frutto di facili entusiasmi. Vi lascio con un quesito: Kamasi Washington riuscirà ad avvicinare al jazz una nuova fascia di pubblico? Vorrei essere ottimista e dire di sì, temo di essere realista e pensare che si risolverà in un fuoco di paglia presso un pubblico modaiolo.
(Negrodeath)

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