FREE FALL JAZZ

L’ottetto di David Murray è una delle espressioni più felici del jazz degli anni ’80. Superficialmente, persino una stranezza: Murray si era distinto per la sua militanza nel World Saxophone Quartet ed uno stile, almeno inizialmente, in linea con Archie Sheep e Albert Ayler. Il suo ottetto, forte di innovativi musicisti come George Lewis (trombone), Henry Threadgill (sax, flauto) e Butch Morris (cornetta) sembrava invece molto più “normale”. In realtà con questa formazione Murray ha potuto mettere in mostra tutto il suo talento di leader, compositore, arrangiatore… e storico. Se già in passato il sax di Murray era avanti guardando indietro (gli echi di Ben Webster e Paul Gonsalves sono sempre stati ben presenti nel suo modo di suonare), la cosa si fa ora più profonda e trasversale. La band infatti suona elastica ed energica, libera, ma sempre disciplinata. I fiati fanno ampio uso di growl, vocalizzazioni, vibrati e glissando che erano più tipici degli anni ’20, ’30 e ’40, spesso improvvisano in contemporanea o suonano in contrappunto sotto al solista, come ai tempi di King Oliver, ma in qualche modo l’insieme ha un’eleganza ellingtoniana. Ed è scorrevole e accattivante quanto un disco di Horace Silver. In ‘Murray’s Steps’ troviamo quattro brani lunghi, dalla title track che unisce Hot Fives ed esplorazione coltraniana alle atmosfere rilassate e funk, ispirate a Stevie Wonder, di ‘Sing Song’, per finire con la solare e latina ‘Flowers For Albert’, dedicata ad Albert Ayler.

Nasce, con Murray e altri (non ultimo Wynton Marsalis, proprio negli stessi anni), quella tendenza che il critico Claudio Sessa ha definito con acutezza “avanguardia di sintesi”: l’esplorazione di ere passate del jazz per metterle in dialogo e scoprire inaspettate similitudini, e rinvigorire e rinsaldare il continuum della musica nera.
(Negrodeath)

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