FREE FALL JAZZ

Henry Threadgill's Articles

E’ notizia freschissima: Henry Threadgill ha vinto il Pulitzer 2016 per la musica, in particolare quella contenuta nello scorso ‘In For A Penny, In For A Pound’. Un disco che, a parere mio, è forse il più debole fra quelli realizzati con gli Zooid, ma chi se ne frega – possiamo sempre prenderlo come ben meritato riconoscimento alla carriera. (Continua a leggere)

Il periodo prolifico di Henry Threadgill prosegue, visto che dopo due album con i vecchi amici di Chicago (Leo Smith e Jack De Johnnette) registrati nel 2014, è subito pronto con la nuova opera dei suoi Zooid. Una formazione davvero longeva, in giro dal 2001, con cui il sassofonista, flautista e compositore ha sviluppato un inconfondibile jazz da camera, che si sviluppa secondo una logica ad incastri fra i vari strumenti ed un suono cupo, privo di appigli ritmici o melodici immediati, ma solitamente intrigante. Segnate quel “solitamente”, perché stavolta Threadgill ha peccato di logorrea. ‘In For A Penny, In For A Pound’ è infatti un doppio album: ogni cd presenta una lunga suite divisa in tre parti, di cui la prima è un breve prologo mentre le altre sono mastodonti dai dodici ai venti minuti, di volta in volta studiate per mettere in risalto un solista o un particolare sottinsieme di musicisti. (Continua a leggere)

Il sassofonista, flautista e compositore Henry Threadgill conferma il suo attuale stato di prolificità – del resto, in pochi anni sono usciti già tre dischi degli Zooid, la sua ultima formazione, cui si è aggiunto a sopresa un nuovo capitolo: ‘In For A Penny, In For A Pound’, fuori su Pi Recordings a partire dal 15 maggio. (Continua a leggere)

Questa settimana ci sentiamo in vena di festeggiamenti. In realtà in giro succedono cose brutte, ma proprio per questo meglio pensare a quelle belle, come ai grandi musicisti ormai venerabili che non smettono di creare e guardare avanti. (Continua a leggere)

Wadada Leo Smith è di nuovo fra noi con un mastodontico disco doppio, ‘The Great Lakes Suite’. Come si può immaginare dal titolo, il trombettista stavolta si è ispirato ai grandi laghi del nord degli Stati Uniti. Ad accompagnare Leo Smith troviamo John Lindberg (contrabbasso) e Jack DeJohnette (batteria), entrambi già compagni del leader in diverse occasioni. La splendida batteria di DeJohnette, attentissima alle esigenze dell’atmosfera e del solista del momento, amplifica la varietà della tessitura sonora in tandem con le robuste contromelodie del contrabbasso. La frontline invece viene completata dal sax e dai flauti di Henry Threadgill, per la prima volta assieme a Smith. (Continua a leggere)

L’ottetto di David Murray è una delle espressioni più felici del jazz degli anni ’80. Superficialmente, persino una stranezza: Murray si era distinto per la sua militanza nel World Saxophone Quartet ed uno stile, almeno inizialmente, in linea con Archie Sheep e Albert Ayler. Il suo ottetto, forte di innovativi musicisti come George Lewis (trombone), Henry Threadgill (sax, flauto) e Butch Morris (cornetta) sembrava invece molto più “normale”. In realtà con questa formazione Murray ha potuto mettere in mostra tutto il suo talento di leader, compositore, arrangiatore… e storico. Se già in passato il sax di Murray era avanti guardando indietro (gli echi di Ben Webster e Paul Gonsalves sono sempre stati ben presenti nel suo modo di suonare), la cosa si fa ora più profonda e trasversale. (Continua a leggere)

E’ un periodo particolarmente prolifico per Henry Threadgill e i suoi Zooid, visto che siamo al terzo disco nel giro di quasi tre anni. Co-fondatore dell’AACM, il sassofonoflautista non si è mai adagiato sugli allori, attraversando molte fasi nella sua carriera. Con gli Zooid prosegue il suo peculiarissimo sound da camera cupo, misterioso, a tratti persino sinistro. Della partita fanno parte collaboratori di lungo corso come Liberty Ellman (chitarra) e Jose Davila (tuba e trombone), ormai a loro agio dopo dieci anni e indispensabili per creare quel sound frammentato e sfuggente, che suona allo stesso tempo antichissimo e moderno. Il contrabbasso di Stomu Takeishi e il violoncello di Christopher Hoffman ampliano il registro basso, ma come al solito è la scrittura di Threadgill a dare una forma tutta particolare all’ensemble. La musica di questo album, priva di temi orecchiabili o di qualsiasi altra forma di immediatezza, è costruita sul complesso contrappunto degli strumenti, ognuno dotato di un suo preciso spazio sonoro e perfettamente in equilibrio coi colleghi. (Continua a leggere)