Brian Blade è uno dei più noti e apprezzati batteristi contemporanei, con molte collaborazioni all’attivo, non ultima quella con Wayne Shorter. Meno nota è l’attività del Brian Blade leader, alla guida del suo gruppo Fellowship che dura ormai stabilmente da quindici anni. Accompagnato dai fidi sassofonisti/clarinettisti Myron Walden e Melvin Butler, dal pianista Jon Cowherd, dal bassista Chris Thomas, Blade cambia un paio di chitarristi lungo la via (manca Kurt Rosenwinkel, sostituito alternativamente da Jeff Parker e Marvin Sewell) e prosegue lungo l’indirizzo stilistico a lui congeniale. E quindi, l’esplorazione jazzistica dell’arcipelogo “americana”, in un’originale declinazione del verbo di Bill Frisell e Ron Miles. ‘Landmarks’ è forse il disco più soffuso e avvolgente nell’esigua discografia della Fellowship, ma non per questo è privo di nerbo o swing, né della consueta varietà. ‘Down River’ o l’incantevole quadretto soul ‘Shenandoah’, entrambi affidati al solo Cowherd che usa mellotron nella prima e organo nella seconda, sono miniature di grande suggestione. All’estremo opposto lunghi brani come la title track, ‘Ark.La.Tex’ e ‘Farewell Bluebird’, con linee contrappuntante, momenti di raccoglimento, quasi a cappella, ed energiche progressioni in avanti, evocano quel paesaggio sonoro tutto americano in cui blues, folk, gospel, country si fondono in qualcosa di più ampio. E poi ‘He Died Fighting’, ritmata e coincisa, su armonie quasi pop, potrebbe trasformarsi in un gran pezzo radiofonico se solo ci fosse un cantante, così come la crepuscolare, nostalgica ‘Friends Called Her Dot’ – il pensiero a questo punto va a ‘Mama Rosa’ del 2009, sorprendente disco di Blade in veste di cantautore.

Da simili presupposti altri musicisti, magari sotto altre case discografiche, avrebbero inciso un disco blando e scipito di pseudofolk improvvisato coi sassofoni. Non Brian Blade, che porta avanti con coerenza e talento il suo originale ed inconfondibile jazz. Grandissimo ritorno per questo 2014!
(Negrodeath)

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