FREE FALL JAZZ

Arriva dalla lontana Australia, Katia Labozzetta, e non ha paura di girare il mondo: la parola d’ordine é suonare, sempre e comunque. Solo 28 anni, ma alle spalle già tanto sodo lavoro e una gavetta che l’ha portata ad esibirsi ovunque, dai locali dell’Australia meridionale ai saloni di lussuose navi da crociera: lei, la sua voce, il suo pianoforte. Labozzetta peró rifugge a qualunque stereotipo: non é la solita cantautrice che  mette due note di jazz nelle sue canzoni per venderle come musica “da salotto”, anzi. Il suo esordio, ‘A Little Somethin’ Somethin’’ (2010, con un quadrilatero sax/chitarra/sezione ritmica ad accompagnare voce e piano), spicca per varietà e personalità: tra le sue note convivono umori pop e folk, blues e rock, ma, soprattutto, tanto jazz, con riferimenti che vanno da Hancock (sia anni ’60 che ’70) a certo post bop fino a echi di fusion. La scrittura (interamente sulle sue spalle) non è banale: le strutture armoniche sono elaborate, avvincenti come i cambi di tempo o di ritmo che sorprendono spesso “in contropiede”. Insomma, roba dal discreto appeal mainstream e potenzialmente in grado di destare l’interesse anche dei palati più conservatori.

Lo scorso Giugno Katia, accompagnata da una sezione ritmica tricolore, ha snocciolato le sue composizioni durante una serata di Giugno In Jazz, rassegna della quale vi abbiamo già raccontato un paio di episodi (Vannelli e Di Michele). Purtroppo non c’eravamo, ma abbiamo provato (parzialmente) a rimediare: per tutto il mese successivo la pianista è stata ingaggiata per suonare tre volte alla settimana ben tre set “da solista” al giorno presso il medesimo centro commerciale. Si tratta di piccole esibizioni da 45 minuti ciascuna in cui si cimenta con cover di varia estrazione (pur inserendo di tanto in tanto qualche originale). Ovviamente il repertorio è adeguato al contesto e pesca, seppur con scelte mai troppo scontate, dal repertorio di artisti come Dylan, Beatles, Tracy Chapman e Sarah McLachlan; le personali rielaborazioni vengono proposte senza pause, come se si trattasse di un unico, lunghissimo brano, e l’effetto è vincente, anche perchè lei si dimostra incredibilmente versatile. Dopo un inizio calmo e cantautoriale riesce infatti a cambiare registro proprio un attimo prima che l’atmosfera si faccia tediosa: gli arrangiamenti si tingono di blues e di jazz, ma non è il classico piano che ci si aspetterebbe in un’atmosfera del genere; è un piano vivace, fragoroso, più vicino al bebop che a certe nenie da salottino lounge. Da lì in poi il coinvolgimento salirà costantemente, fino all’ottimo finale con ‘Too Much Champagne’, unico originale in programma che scatena persino un po’ di rammarico: se ne vorrebbe ancora. Promossa. (Nico Toscani)

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