FREE FALL JAZZ

Tra i musicisti della nuova generazione Robert Glasper si è già a più riprese segnalato come uno dei più interessanti: pianista tanto innamorato dei suoni più straight ahead quanto della contaminazione “intelligente”. Già il precedente ‘Double Booked’ aveva tratteggiato le due “facce” del musicista, tenendole però ben distinte: c’erano i momenti puramente jazz e c’erano quelli più elaborati. ‘Black Radio’ è il passo successivo, l’amalgama: un caleidoscopio di influenze che vanno oltre la mera somma delle parti, figlie di un’opera di sintesi eccellente che non suona mai, proprio mai forzata.

In realtà sulla carta qualche dubbio potrebbe sorgere: il quartetto base (Glasper, il sassofonista Casey Benjamin, il bassista Derrick Hodge, il batterista Chris ‘Daddy’ Dave) è rimpolpato da un’infinita schiera di ospiti e tra i pezzi non originali figurano alcune scelte che potrebbero lasciare quantomeno perplessi. Basta un ascolto però per rendersi conto che mai come stavolta i pregiudizi non hanno ragion d’essere: tutti gli “intrusi” si mettono al servizio dei brani e ne diventano spesso il valore aggiunto, evitando che il tutto sembri una specie di compilation. E infatti l’atmosfera generale segue un discorso unitario che unisce jazz e hip hop, elettronica e R&B, funk e neo soul, privilegiando atmosfere “notturne” e rilassate.

Il piano “monkiano” di Glasper è ovviamente la spina dorsale del disco: sempre presente, ma preferisce fungere da sfondo piuttosto che scattare al centro della scena; anche quando si lascia andare i risultati restano di assoluto rilievo, si veda la clamorosa (immaginatelo scritto in maiuscolo) ‘Why Do We Try’ (con Stokley Williams), di certo uno degli apici del disco assieme al jazz hop di ‘Always Shine’, in cui appare Lupe Fiasco. Tra le riletture spicca poi una notevole ‘Afro Blue’, classico di Mongo Santamaria popolarizzato da Coltrane, d’altronde Erykah Badu, che la canta, è ben più che una garanzia. L’applauso scrosciante però scatta nel constatare come Glasper riesca a non rendere noiosa persino l’ennesima versione di quella ‘Smells Like Teen Spirit’ che negli ultimi vent’anni abbiamo visto propinarci in tutte le salse (proprio tutte. La mia preferita resta inevitabilmente questa): Casey Benjamin la canta con il vocoder, fino a sfociare in una coda downtempo perfetta per chiudere il programma.

Di certo non mancherà qualche conservatore “oltranzista” che riterrà il tutto troppo “poco jazz”, ma non dategli retta: Glasper non cade mai nel tranello della contaminazione fine a sé stessa, e proprio questo è forse il suo maggior centro. Le chiacchiere stanno a zero: ‘Black Radio’ spacca e prenota sin d’ora un posto importantissimo tra le migliori uscite di quest’anno appena iniziato. Sontuoso. (Nico Toscani)

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