FREE FALL JAZZ

Wadada Leo Smith è in una fase estremamente prolifica della sua vita. A ridosso di ‘The Great Lakes Suite’, interessante uscita in quartetto con veterani della sua generazione (speriamo di parlarne presto), eccolo subito sul mercato con ‘Red Hill’. Assieme a Leo Smith troviamo tre giovani musicisti che spesso hanno collaborato fra di loro negli ultimi anni, ovvero Jamie Saft (piano/tastiere), Joe Morris (contrabbasso) e Balasz Pandi (batteria); i lavori, a quanto pare, si sono svolti in maniera informale, tutti in studio e buona la prima senza alcun materiale preparato in anticipo. Il risultato è un disco cupo, quasi spettrale, organizzato in sei lunghi brani (dai sei ai sedici minuti) privi di qualsivoglia nucleo tematico, cellula ritmica o in generale appiglio per l’ascoltatore. Due i centri focali: la tromba, laconica e lirica, di Smith e il contrabbasso di Morris, che vi dialoga con contromelodie e accenni di groove. Il piano, molto percussivo e à la Cecil Taylor, si lancia in fraseggi spezzettati e atonali, con densità variabile, mentre la batteria martella spesso i piatti e contribuisce così alla creazione di un suono di gruppo metallico e freddo. Da ‘Gneiss’ alla conclusiva ‘Arfvedsonite’ l’album scorre come un unico brano in cui la tensione sale e scende lentamente, secondo percorsi indecifrabili che portano ad esplosioni quasi noise rock.

Più improvvisazione libera che jazz, ‘Red Hill’ è un lavoro complesso, a tratti indigesto, eppure affascinante, con un’atmosfera da desolazione post-atomica.
(Negrodeath)

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