FREE FALL JAZZ

fate largo al pandino's Articles

Wadada Leo Smith è in una fase estremamente prolifica della sua vita. A ridosso di ‘The Great Lakes Suite’, interessante uscita in quartetto con veterani della sua generazione (speriamo di parlarne presto), eccolo subito sul mercato con ‘Red Hill’. Assieme a Leo Smith troviamo tre giovani musicisti che spesso hanno collaborato fra di loro negli ultimi anni, ovvero Jamie Saft (piano/tastiere), Joe Morris (contrabbasso) e Balasz Pandi (batteria); i lavori, a quanto pare, si sono svolti in maniera informale, tutti in studio e buona la prima senza alcun materiale preparato in anticipo. Il risultato è un disco cupo, quasi spettrale, organizzato in sei lunghi brani (dai sei ai sedici minuti) privi di qualsivoglia nucleo tematico, cellula ritmica o in generale appiglio per l’ascoltatore. (Continua a leggere)

Che Youn Sun Nah ci piacesse ve lo abbiamo già detto qua. La cantante coreana è ora impegnata  in un tour mondiale con il suo ormai inseparable compagno nonché mio personale mito della chitarra: Ulf Wakenius. È infatti “colpa” di questo talentuoso chitarrista svedese e del suo album ‘Notes From The Heart’ (ACT, 2005 – omaggio a Keith Jarret) se son qui che vomito i miei deliri parlando di gièzz.

“Datemi il pandino e vi solleverò il mondo”, dice l’antico proverbio Waltellinese. Non sollevai il mondo, ma l’A4 destinazione Brescia sì. Il concerto iniziava alle 21.00 di martedì… “Esco alle 17.30 così vado tranquillo”. 8.43 coda in A1 taaaac… Ascoltando il disco di Nah e sostituendo le parole con delle bestemmie (devo dire un esperimento riuscito benissimo) mi divincolai dalla coda uscendo chissà dove facendo rally tra la campagna del bresciano. Pandino modalità “4×4 spacchiamo i culi”: ON. 8:49 Parcheggio e inizio a correre a caso verso una direzione che ritenni appropriata. Una coppia di signori mi chiede indicazioni per il teatro grande: “In fondo ai portici a sinistra”, la butto lì. In fondo ai portici a sinistra c’era l’entrata del Teatro con a fianco la biglietteria. 8:58 arrivo presso la biglietteria: “Ho prenotato il biglietto under 30” – “Documenti prego” – “Ma zincane! Ho 26 anni dai!”… Mi metto in fila tra i vari mormorii: “iu su… iun sun… chi!?!?!?! bah varda… ciao Armanda, anche te qui? Massì, varda, a caso proprio, non c’era niente alla tele”. Va beh… 21:02 Prendo posto in quinta fila al centro nella platea del bellissimo Teatro Grande di Brescia. Leggo “riservato” – “Chisseneincula” rispondo. 21:03 inizio concerto. (Continua a leggere)

Foto di Bar Borsa        

Che bello il venerdì. Il venerdì è la fine della settimana e questo basta a renderlo un giorno speciale. Ma quel venerdì doveva essere ancora più speciale. Al conservatorio di Novara, era in programma un live del Trio di Vijay Iyer. A Novara, a 20 minuti di pandino; non in una lontana Nürgenbrigensbrunzhen a caso nel punto più remoto della Germania da casa mia. A Novara. Già mi vedevo, pieno di Bagna càuda, trasudante aglio e bello avvinazzato di un buon rosso delle Langhe a gustarmi il concerto di uno dei più estrosi e abili pianisti in circolazione.

E invece no: “Purtroppo a causa di uno sciopero dei trasporti aerei il Vijay Iyer Trio è bloccato a Bucarest e non riuscirà ad atterrare in tempo per la performance a Novara. Il concerto previsto per stasera all’Auditorium Cantelli è pertanto annullato. Serena, conservatorio di Novara”… Finii di bestemmiare dopo due ore. Vomitato addosso al prete mi slegai dal letto benedetto e scesi in garage gattonando all’indietro. Il pandino già mi aspettava scalpitando. Partii a fuoco. Arrivato al confine Slavo mi calmai. Decisi che l’operazione “Vai a prendere Vijay a Bucarest e portalo a Novara” doveva finire lì. Ripresi coscienza a poco a poco e appresi che di lì a due giorni avrebbe suonato al Bar Borsa di Vicenza. (Continua a leggere)

I dottori ancora non si fidano a lasciarmi andare. Dicono che quello che ho scritto sul Festival finora è un buon passo avanti, ma non basta. Dicono che devo sputare il rospo bello intero… come una lavanda gastrica… dicono che è meglio se scrivo ancora. Dicono…

5 Luglio, Milano. Mi alzai prestissimo quella mattina. I postumi di una serata in birreria fecero rimbombare il trillare molesto della sveglia dentro la cassa cranica come se un neurone, ormai solitario e sconsolato, avesse suonato un gong gigante. Era l’alba… bisognava partire presto, evitare orari di punta e quindi il traffico e ingorghi vari; insomma, una partenza intelligente… Dopo due ore di coda sull’A1 mi sentii molto stupido.

Il mitico pandino, scalò il passo del Gran San Bernardo in gran scioltezza. Su su su e poi giù giù giù, diretti verso il Montreux Jazz Festival. (Continua a leggere)


Come già sapete, il 4 luglio prossimo prende il via il 47esimo Montreaux Jazz Festival, uno degli eventi Jazz (e dintorni) più attesi e conosciuti dell’anno. Free Fall Jazz sarà presente alla seconda serata: The ACT Night. Eccovi la line-up, due righe sui tre artisti che andranno in scena, giusto per stuzzicare un po’ la vostra curiosità o uccidervi di noia se già siete sul pezzo.

Michael Wollny
Ho già parlato di Michael e del suo eccentrico trio, gli [em], tempo faClasse 1978, in ACT dal 2005, il giovane tetesco vanta molte collaborazioni e performance da leader per un totale di undici album (eggià, undici…). Nonostante l’ancora “breve” carriera, il suo nome riecheggia insieme ad epiteti come “grandioso”, “talentuoso”, “formidabile” e “leggendario” tra i corridoi della critica europea e internazionale. Un personaggio eclettico, ma molto alla mano; un’estetica e un linguaggio dal timbro indefinibile, spiazzante… profondo. Echo Jazz 2010, 2011 e 2013 per ‘Wasted & Wanted’ dei già citati [em]. In questa breve introduzione al personaggio, concedetemi una piccola curiosità: Soggy Loch (fondatore e presidente di ACT), in ogni sua intervista, maldestramente portato a parlare di Esjborn Svensson e della sua triste e prematura scomparsa, parla di Wollny come uno dei principali motivi per cui ancora oggi possiamo parlare di ACT e godere dei grandi artisti che ogni hanno offre sul piatto del sensibile ascoltatore. (Continua a leggere)


Da quando sono un “appassionato di jazz” il nome Montreux si affianca spesso agli ascolti più illustri, avvolgendosi in un’aurea di solenne rispetto. Per la mia ancora acerba esperienza, spiccano su tutti i nomi di Charles Lloyd, Bill Evans, Miles Davis, Count Basie, Charlie Mingus, Archie Shepp, John McLaughlin, Billy Cobham, Joao Gilberto, Tom Jobim, Stevie Ray Vaughan, Abdullah Ibrahim, Chick Corea, Herbie Hancock, Bireli lagrene e i Green Day (Chi!!? Ma che minchia dici?! – Beh, ci sono nel programma di quest’anno… – E che michia è!? “Trova l’intruso” della Settimana Enigmistica??!) e molti altri ancora.

Dal 1967, grazie all’idea di un lungimirante impiegato dell’ufficio turistico appassionato di Jazz (stiamo parlando del da poco compianto Claude Nobs), Montreux si trasforma in una festa colarata e sonante. Un festival per l’esattezza. Una sorta di valhalla per gli appassionati di jazz. Una meta, per noi europei, quasi inarrivabile, irraggiungibile, distante una traversata Atlantica. Già, l’Atlantico: l’oceano delle grandi navi e delle loro big band. Un viaggio dall’altra parte del mondo… Prendere il biglietto, fare scalo, ore e ore di aereo per atterr… come!? Montreux…  mh… Ah, in Svizzera!? Ah, a tre ore e mezza di pandino? Ah… vabbeh, senti… fammi disdire il volo va’… (Continua a leggere)