FREE FALL JAZZ

Ho sentito parlare per la prima volta di Sun Ra quando del jazz ancora non sapevo nulla. Le pagine erano quelle di Rockerilla, nel dettaglio un articolo di Bertoncelli che prendeva una pagina intera e provava a tratteggiare un profilo del musicista in occasione dell’opera di recupero (portata avanti dalla Evidence) di parte del suo sterminato catalogo. Pur non essendo interessato alla materia, quelle righe mi colpirono: un po’ per l’aura di mistero (si parlava di una discografia di 150 titoli, ma pochissimi di questi erano di reperibilità decente), un po’ per il ritratto che ne veniva fuori, frutto di un Sun Ra ancora non del tutto sdoganato presso gli addetti ai lavori: “Dire che Sun Ra è un jazzista è dire il vero, certo, ma anche un po’ mentire, e chiedetelo per primo ai sacerdoti del genere, che alla sua figura han sempre dedicato tempietti votivi piccoli piccoli, di ‘culto pittoresco’”. In parte è vero, viene in mente Arrigo Polillo che in ‘Stasera Jazz’ ne parla con una certa sufficienza, in parte no: il più giovane Luca Cerchiari, ad esempio, ne diceva bene già nei primi anni ’80, e come lui, ancor prima, anche qualche esponente estero della “vecchia guardia” come Joachim Ernst Berendt. “Il tipo è stato sì allievo di Fletcher Henderson e discepolo ammirato di Duke Elington – prosegue l’articolo di Bertoncelli – con un repertorio denso di standard e musicisti ‘di buona scuola’, ma ha sempre preteso spazio e libertà di muoversi ‘oltre’ […] È questa bizzarra libertà non solo formale che ai jazzisti ‘puri’ ha sempre dato fastidio. Questo intonare ‘Take The A Train’ con tutti gli accenti giusti e intesserlo con uno scombicchierato assolo di Moog di 25 minuti, questo evocare il fantasma dell’ensemble jazz dell’età dell’oro per imbarcarne subito dopo gli orchestrali su un razzo, con destinazione saturno”.

Lungi da me voler trasformare questo pezzo in una lotta tra conservatori e pseudo–avanguardisti, anzi, vale una volta di più la pena ribadire che il jazz non è questione di “barricate” o di schierarsi con l’una o con l’altra parte, anche perché il suo valore non lo si misura in base alla portata rivoluzionaria vera o presunta (o, quantomeno, non solo in base ad essa). Piuttosto, se riporto queste parole è solo perché, a distanza di 21 anni e mezzo, restano una delle descrizioni più vivide ed efficaci dell’approccio musicale di Sun Ra che abbia mai letto. Rendono bene l’idea di un uomo che come pochi altri è riuscito ad assorbire e rimasticare con piglio personalissimo quasi un secolo di storia di questa musica: dagli antenati africani a New Orleans, dalle big band al bop e al free. L’iconografia “cosmica” e spirituale ha di certo contribuito a rendere il tutto ancora più unico, ma non è mai servita a distogliere l’attenzione dalla musica o a mascherarne una pochezza di contenuti, anzi.

Sun Ra se ne andò in sordina circa un paio di mesi dopo quell’articolo di Bertoncelli. Da allora di acqua sotto i ponti ne è passata: la maggior parte dei suoi lavori sono oggi disponibili senza patemi e la sua figura è stata oggetto di una storicizzazione ampia e significativa. Inquadrare fino all’ultima sfaccettatura una discografia così vasta sarebbe comunque impresa titanica, visto che scavando negli archivi continuano a spuntare fuori incisioni di vario genere e numero, a volte anche di dubbia provenienza. Il caso più recente è un album non ufficiale apparso sul mercato qualche mese fa a titolo ‘Church Organ 1948’. Vinile blu inciso da un solo lato, nessuna casa discografica e solo un anonimo numero di catalogo (LPSUN) a identificarlo, il disco raccoglie quelle che vengono presentate come delle incisioni risalenti al 1948 realizzate da Sun Ra con un registratore a bobine e un organo da chiesa. Lo abbiamo ascoltato e si tratta di una manciata di standard risalenti a quegli anni (tra cui ‘All The Things You Are’ e ‘Willow Weep For Me’), che in questa nuova veste assumono toni quasi spettrali. Materiale che, qualora fosse confermato come autentico, sarebbe interessante soprattutto dal punto di vista storico. Qualche sospetto sulla veridicità del tutto sorge a causa delle scarsissime informazioni reperibili sia su quest’uscita che sui nastri da cui nasce: sarebbe interessante in questo senso ascoltare il parere di qualche “filologo” di Sun Ra.

Sempre in tema con le celebrazioni del centenario del pianista, arriva via Trost Records ‘Live In Nickelsdorf 1984’, triplo CD (da un concerto austriaco del Marzo di 30 anni fa) che una volta di più testimonia le notevoli esibizioni della Sun Ra Arkestra nell’ultima parte di carriera, tra lunghi set multipli, improvvisazioni e solita concezione del jazz a 360 gradi. Non esattamente un’uscita per neofiti o per chi vuole avvicinarsi per la prima volta al “pianeta Ra”, per loro è decisamente più indicata la raccolta ‘In The Orbit Of Ra’ (per la quale vi rimando al post di Maurizio complementare a questo), ‘Nickelsdorf’, pur privo di una controparte visiva, resta un documento ottimo dell’intensità che i nostri erano capaci di sprigionare sul palco. La registrazione imperfetta, più che ascoltabile, regala un tocco di “realismo” e genuinità. Il resto lo fanno non solo i soliti noti (i due “bracci destri” John Gilmore al tenore e Marshall Allen al contralto), ma anche un manipolo di onestissimi gregari tra i quali spicca l’ottimo bassista Rollo Radford.

Personalmente nel multiforme universo di Sun Ra non sono entrato dalla porta principale. Galeotto fu ‘Holiday For Soul Dance’, uno dei dischi meno celebrati, eppure validissimo. Anch’esso (come ‘Jazz In Silhouette’, a cui faceva cenno Maurizio) risalente agli sgoccioli del periodo di Chicago, è una piccola mosca bianca perché passa in rassegna quasi solo standard, eseguiti con brillante inventiva ma anche con un certo rigore. In ‘Body And  Soul’ non ci trovai un assolo di 25 minuti di Moog come nella ‘Take The A Train’ di cui avevo letto, ma se decisi di dare una possibilità al disco a scatola chiusa il merito fu anche di quell’articolo che tanto aveva stuzzicato la mia curiosità. (Nico Toscani)

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