FREE FALL JAZZ

Il jazz è musica metropolitana e cosmopolita, lo si dice fin dai tempi del nonno di King Oliver. Ebbene, il percorso musicale di Rudresh Mahanthappa incarna in maniera davvero esemplare questo concetto. Sassofonista americano di origini indiane, nel corso della sua carriera Rudresh ha seguito un percorso simile a quello del primo quartetto Masada (affermazione tutta mia da prendere cum grano salis, e a tonnellate): come John Zorn ha assorbito e rigenerato nel jazz la musica ebraica trasformandola in una nuova musica ebraica contemporanea, così ha fatto lui, inglobando nel jazz moderno la musica indiana e inserendo il risultato nel contesto più ampio della musica americana di oggi, dal funk all’hip hop al rock al blues, e non solo. ‘Gamak’ è l’ultimo album del sassofonista, e prosegue nella declinazione di un sound originale e fresco, vagamente affine al linguaggio M-Base di Steve Coleman. A fianco del leader troviamo la mutevole chitarra di David Fiuczynski, il poderoso basso di Francois Moutin e la batteria asciutta di Dan Weiss: un quartetto ben rodato, che si destreggia fra le diverse suggestioni senza perdere mai la bussola. Colpisce in particolare il lavoro del chitarrista, in grado di passare nel giro di secondi da suoni simili ad un sitar ad altri rock blues e tornare poi rapidamente alla base. Molti i momenti memorabili: la lunga, bitematica ‘Waiting Is Forbidden’ fatta di complessi arzigogoli ritmici fra funk e mathrock (Don Caballero etc) su cui il sassofono volteggia in maniera assolutamente jazzistica, la fascinosa ‘Abhogi’ in cui raga e blues sfumano uno nell’altro a ripetizione in un incredibile gioco di specchi deformanti, ‘Lots Of Interest’, carica dell’energia di riff staccati che generano un moto propulsivo inarrestabile, la conclusiva ‘Majesty Of The Blues’ che unisce sax urlante e chitarra d’acciaio con un tiro quasi hardcore punk.

Un lavoro eccellente che conferma la statura di Rudresh Mahanthappa, fra i più dotati e interessanti leader in forza al jazz moderno. Un pensiero va a come anche i nuovi melting pot asiatici e latini incidano oggi nel jazz americano e lo arricchiscano, con creatività e senza fatue pose avanguardistiche. Avanti così.
(Negrodeath)

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