FREE FALL JAZZ

Le date. Maledette date: una croce ben nota a qualunque appassionato di jazz che abbia mai provato a catalogare i propri dischi. Quale tenere in considerazione? Quella d’incisione o quella di pubblicazione, tante volte postuma? O magari quella di ristampa? È un dilemma che coinvolge direttamente il ripescaggio di oggi: ‘Blue Autumn’ infatti, pur pubblicato in CD dalla Evidence (con la copertina che vedete qui a lato) solo nel tardo ’92, raccoglie in realtà incisioni di quasi dieci anni prima, realizzate nel corso di una serata del 1983 al Keystone Korner di San Francisco (la quale frutterà anche un altro disco, il più noto ‘On The Move’); per di più era stato già stampato una prima volta (in vinile) dalla Theresa nel 1986, con copertina in bianco e nero. Un mezzo manicomio, vero? Però non dovrebbe distoglierci troppo dalla musica, che in fondo è ciò che conta.

La carriera di Nat Adderley (scomparso ormai quasi 13 anni  orsono), per inciso, è un po’ controversa: la sua figura spesso è stata oscurata dall’enorme ombra di suo fratello Cannonball, tuttavia alcuni tra i grandi cavalli di battaglia di quest’ultimo sono usciti proprio dalla penna di Nat (pensate a ‘Work Song’ o ‘Jive Samba’), e già questo basterebbe a ritagliargli un posto nella storia del jazz che non brilli di luce riflessa. Sarà forse anche per l’intensa attività di scrittura in seno al gruppo di Cannonball che il fratellino, nelle sue esperienze da leader, preferirà lasciare ampio spazio a brani composti dai musicisti di cui si circonda, cosa che in questa sede accade per 4 brani su 5. Uno dei momenti migliori, ‘The Fifth Labor Of Hercules’, andamento dinoccolato tra bop e blues, classica struttura circolare con un tema irresistibile, è infatti composto da un “extra”: Tex Allen, dimenticato trombettista di Houston che ci premureremo di riproporvi. Non che il resto sia da meno: su tutti, spicca un vivacissimo Sonny Fortune al contralto (già ottimo su una serie di dischi di Miles Davis che hanno sempre attratto più critiche del dovuto), il cui stile sembra una versione nerboruta di Cannonball e proprio come quest’ultimo finisce spesso per oscurare la cornetta di Nat Adderley, la quale, seppur con qualche sbavatura, ricama comunque efficaci contrappunti. Si balla dunque tra influenze esotiche (la ‘Book’s Bossa’ del bassista Walter Booker) e reminiscenze classiche (‘For Duke And Cannon’, ballad in crescendo di Fortune dal titolo quanto mai esplicativo), con i due pezzi del pianista Larry Willis che esplorano infine i due estremi. La title-track è infatti dilatata e cupa: Booker la suona con l’arco e i fiati procedono con una cadenza quasi funerea; ‘Tallahassee Kid’ è invece un hard bop dinamico e incontenibile che conferma la versatilità degli interpreti.

Non si sarà scritta la storia in questi quaranta minuti, ma restano un ottimo invito a dare una possibilità a cinque musicisti (non abbiamo ancora citato il batterista Jimmy Cobb) che a conti fatti erano forse qualcosa di più che solidissimi mestieranti. (Nico Toscani)

Comments are closed.