FREE FALL JAZZ

Tex Allen's Articles

Di Tex Allen si era già detto qualche tempo fa, in occasione del recupero di ‘Blue Autumn’ a firma Nat Adderley, album nel quale uno dei pezzi migliori, ‘The Fifth Labor Of Hercules’, portava proprio la firma di questo compositore di Houston dal background poco pubblicizzato ma valoroso: anni di studi, dozzine su dozzine di concerti macinati prima nel suo Texas (quasi sempre alla tromba, pur essendo anche abile pianista), poi nell’adottiva New York City, dove ebbe la prima grande occasione nell’orchestra di Gil Evans (sull’ottimo ‘Svengali’, 1973). La partecipazione prestigiosa non si rivelò il trampolino sperato, complice anche un carattere poco incline a compromessi  (“Non  ho mai sacrificato la mia musica nel nome del business”, diceva) con il quale, sgomitando sgomitando, riuscì tuttavia a ritagliarsi un’onestissima carriera da mediano, sia componendo per altri, che sui palchi della grande mela. (Continua a leggere)

Le date. Maledette date: una croce ben nota a qualunque appassionato di jazz che abbia mai provato a catalogare i propri dischi. Quale tenere in considerazione? Quella d’incisione o quella di pubblicazione, tante volte postuma? O magari quella di ristampa? È un dilemma che coinvolge direttamente il ripescaggio di oggi: ‘Blue Autumn’ infatti, pur pubblicato in CD dalla Evidence (con la copertina che vedete qui a lato) solo nel tardo ’92, raccoglie in realtà incisioni di quasi dieci anni prima, realizzate nel corso di una serata del 1983 al Keystone Korner di San Francisco (la quale frutterà anche un altro disco, il più noto ‘On The Move’); per di più era stato già stampato una prima volta (in vinile) dalla Theresa nel 1986, con copertina in bianco e nero. Un mezzo manicomio, vero? Però non dovrebbe distoglierci troppo dalla musica, che in fondo è ciò che conta.

La carriera di Nat Adderley (scomparso ormai quasi 13 anni  orsono), per inciso, è un po’ controversa: la sua figura spesso è stata oscurata dall’enorme ombra di suo fratello Cannonball, tuttavia alcuni tra i grandi cavalli di battaglia di quest’ultimo sono usciti proprio dalla penna di Nat (pensate a ‘Work Song’ o ‘Jive Samba’), e già questo basterebbe a ritagliargli un posto nella storia del jazz che non brilli di luce riflessa. (Continua a leggere)