FREE FALL JAZZ

La domenica è solitamente giorno nel quale il pranzo rappresenta il clou della festa, ricco di quelle pietanze difficili da preparare e gustare durante la settimana lavorativa. Essere appassionati di musica, e in particolare di jazz, abitando in regione Lombardia, significa sostituire senza remore di sorta certe prelibatezze culinarie con altre di genere musicale che manifestazioni come Aperitivo in Concerto sono in grado di assicurare. Questa domenica, il menù prevedeva la presenza sul palco in prima assoluta italiana dell’ottetto del pianista, compositore e big band leader newyorkese di origine cubana Arturo O’ Farrill. E’ davvero arduo spiegare al pubblico italiano perché si sia dovuto aspettare il suo cinquantacinquesimo anno di età per poterlo vedere all’opera su un palco di un nostro teatro, o nell’ambito di qualche festival, mentre negli States è considerato da tempo uno dei musicisti più importanti in circolazione, visti anche i plurimi Grammy Awards vinti nei recenti anni e considerata la recente nomina ricevuta per il suo splendido ultimo lavoro Cuba:The Conversation Continues. O’ Farrill è infatti oggi un campione di quel “Latin Jazz” che ha visto il suo ormai leggendario padre, Chico, tra i pionieri assoluti del genere, ma potrebbe persino risultare riduttivo e parzialmente depistante limitarlo a un tale ambito stilistico. Non abbiamo infatti assistito banalmente ad un paio di ore di “salsa” o di vecchio Afro-Cuban Jazz, per quanto molto ben suonati, ma ad un progetto musicale molto più ambizioso e articolato che pare collocarsi perfettamente in quell’idea di multilinguismo musicale oggi molto frequentato dai musicisti di tutto il mondo, ma in realtà di difficile realizzazione pratica con risultati artistici davvero interessanti. A nostro avviso O’Farrill sembra possedere i giusti requisiti per riuscire nell’ardua impresa e non solo per il concerto appena sentito da una formazione ridotta rispetto alla sua Afro-Latin Jazz Orchestra con la quale usualmente opera. Basterebbe ascoltarsi gli ultimi suoi due splendidi lavori discografici con la big band per rendersene conto. Sul palco del Teatro Manzoni O’ Farrill ci ha presentato un vero e proprio progetto musicale fondato sull’intreccio di ritmi contemporanei con al centro ovviamente la cultura afro-latina, latino-americana e nordamericana, di sua persino ovvia approfondita conoscenza. In meno di due ore di concerto si sono ascoltati salsa e descarga cubana, rumba, mambo, tango miscelati con jazz, funk e persino la “fusion” e un pizzico di avant-garde sul finale, spruzzata come sale e pepe su una già prelibata pietanza, con una pertinenza e abilità nell’incrociare ritmi diversi in contemporanea davvero peculiare e propria solo di musicisti estremamente esperti nel campo. Quella che però è emersa è anche la forte leadership del ferratissimo conduttore di big band, oltre alla sua non comune abilità compositiva. Il clou del concerto è stato infatti una lunga Despedida Suite in quattro parti di circa 28 minuti nella quale O’ Farrill ha mostrato uno spiccato senso della costruzione musicale a largo respiro sfruttando anche quella cultura accademica di base ereditata dal padre e in parte l’approccio strutturale caratteristico delle suites multitematiche ellingtoniane. Le parti scritte si sono ben integrate con quelle improvvisate, grazie alla presenza di sideman fidati e preparatissimi tutti lodabili nei loro compiti. La front line costituita dal trio Jim Seeley alla tromba (un devoto di Lee Morgan a suo dire), il portoricano Ivan Renta al sax tenore e flauto e l’ israeliano Rafi Malkiel al trombone, è stata utilizzata da O’Farrill nelle parti scritte proprio nella funzione di una intera sezione di trombe, tromboni e ance di una vera e proprio big band e liberata nella fantasia melodico-ritmica nelle parti improvvisate. Davvero eccellente poi l’intera sezione ritmica costituita da elementi con vasta e consolidata esperienza nel campo dei ritmi latini e afro-cubani specie nell’abilità manifestata dai due percussionisti: Carlos Maldonado ai bongos e Tony Rosa alle congas. In particolare si è potuta apprezzare una autentica esplosione di ritmi e poliritmi nella spettacolare Rhumba Urbana, nella quale la ritmica nella sua interezza ha messo in campo tutta la sua potenza e l’affiatamento raggiunti in una perfetta esecuzione estremamente coinvolgente per il pubblico. Il concerto aveva preso inizio con un omaggio a Ernesto Lecuona, uno dei padri della musica cubana e afro-cubana, con una originale versione in tempo di clave 3/2 del suo Siboneyin cui si è distinto il solo del trombettista carico di brevi citazioni, come Summertime e quella molto pertinente di Birks Works, di un Dizzy Gillespie che per anni si è dedicato al genere latino e afro-cubano ed è uno dei musicisti americani ancora oggi più noti e rispettati a Cuba. Il concerto era poi proseguito con El Sur, altra interessante composizione originale e, dopo l’esecuzione della lunga suite, un omaggio “afrocubanizzato” al Tango di Astor Piazzolla.

Come sempre accade poi ai concerti più riusciti si sentono cose molto interessanti e in scioltezza nei bis  (ben due, qui il primo bis), dove O’Farrill ha presentato composizioni nelle quali la componente più propriamente jazzistica era stavolta presente in chiara maggioranza, mostrando la sua assoluta capacità di muoversi anche nello swing e nei ritmi solitamente riconosciuti nel jazz più ortodosso. Gran finale con un brillantissimo tema eseguito con modalità tipicamente hard-bop miscelato argutamente con la descarga cubana. Sembrava di ascoltare una sorta di Jazz Messengers di Art Blakey in versione afro-cubana. Insomma, si può ben dire che lo chef di giornata ci ha preparato sì piatti di complessa fattura, ma decisamente riusciti e ci siamo alzati da tavola sazi e soddisfatti, come un buon pranzo domenicale deve saper fare. Alla fine del concerto O’Farrill è riuscito a far vendere al pubblico tutti i suoi duecento e passa CD portati appresso. Vorrà dire qualche cosa?
(Riccardo Facchi)

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[...] recensione del concerto al Teatro Manzoni in Milano di domenica scorsa pubblicato al seguente link su Free Fall Jazz [...]


[...] Manzoni di Milano e alla matura età di 55 anni suonati, producendo con una formazione ridotta un eccellente concerto di cui ho già dato conto sulle colonne di questo blog e a cui rimando. Ce ne sarebbe insomma [...]