FREE FALL JAZZ

Non ascoltavo dal vivo Dave Douglas dal 2006, quando suonò a Milano ad Aperitivo in Concerto con Donny Mc Caslin al tenore e mercoledì sera ho potuto risentirlo al Teatro Donizetti di Bergamo, nell’esibizione del suo ottimo e roccioso odierno quintetto composto da musicisti del valore di Matt Mitchell al piano, Jon Irabagon al sax tenore, l’eccellente Linda Oh al contrabbasso e lo stupefacente Rudy Royston alla batteria, in un concerto previsto all’interno del vasto programma di “Bergamo Scienza”, edizione 2015. L’occasione è stata propizia anche per presentarlo al pubblico bergamasco, convenuto in un teatro gremito in ogni ordine di posto, come il nuovo direttore artistico di Bergamo Jazz, l’ormai storico festival cittadino che proporrà il suo cartellone alla stampa in dicembre e il successivo svolgimento nell’usuale mese di marzo.

Douglas è all’inizio di un lungo tour ottobrino di presentazione del suo nuovo lavoro discografico “Brazen Heart” (brano con il quale ha peraltro esordito) e ha presentato un mix di brani del disco, associati ad altri provenienti dal precedente “Time Travel”, sempre realizzato con i medesimi compagni, e a nuovissime composizioni. Egli da tempo elabora una concezione di quintetto jazz che, affrancatosi dall’abusato modello davisiano anni ’60, rimane tuttavia sul terreno di un modern mainstream molto aggiornato e dal suono complessivo molto moderno. Il gruppo pare affiatato e possiede una sezione ritmica di livello super, rilevabile nelle qualità strumentistiche della Oh, in possesso di una energica cavata, e nella straordinaria e ricchissima pulsione  poliritmica di Rudy Royston alla batteria. Un degno innovativo continuatore della grande tradizione batteristica afro-americana, sorta di ibrido tra le raffinatezze di un Jack de Johnette e l’energia esecutiva di un Tony Williams, giusto per darne un’idea. Paradossalmente ritengo che con un sostegno ritmico di questo livello la front line avrebbe potuto produrre improvvisazioni e dialoghi ancora migliori di quelli pur ottimi che si sono potuti sentire. Non si può comunque affermare che Douglas non sappia scegliere  degli eccellenti compagni di cordata, segno evidente di sviluppate qualità di leadership. Le composizioni di Douglas sono caratteristiche e ormai ampiamente riconoscibili, sempre ricche di stimoli uditivi, con un marcato utilizzo di ampi intervalli, pause a la Monk (come appunto in Brazen Heart) e spunti provenienti dalla amplissima tradizione idiomatica propria del jazz. Non a caso nel suo ultimo disco sono presenti addirittura delle reinterpretazioni di notissimi spirituals come Deep River e There is a Balm in Gilead,

Douglas in conferenza stampa, per rimanere nel tema della manifestazione in cui è stato inserito, ha voluto definire in modo sintetico ma efficace la Musica come  ”Scienza del cuore” e certo non gli si può dar torto. Tuttavia, l’esibizione della front line mi è parsa difettare a tratti proprio solo di quello. Il dialogo tra i due fiati è stato energico, serrato, dialettico, evidenziando una sorta di interessante strabismo melodico nei brani più lenti, con Douglas spesso sui sovvracuti e un fraseggio sullo strumento molto ricco di note, più legato che staccato. Identificare le influenze di Irabagon pare operazione non semplice, anche se può essere utile sottolineare che tra i suoi maestri ha potuto usufruire della somma perizia di un Dave Liebman e di un Dick Oatts.
(Riccardo Facchi)

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