FREE FALL JAZZ

Il periodo prolifico di Henry Threadgill prosegue, visto che dopo due album con i vecchi amici di Chicago (Leo Smith e Jack De Johnnette) registrati nel 2014, è subito pronto con la nuova opera dei suoi Zooid. Una formazione davvero longeva, in giro dal 2001, con cui il sassofonista, flautista e compositore ha sviluppato un inconfondibile jazz da camera, che si sviluppa secondo una logica ad incastri fra i vari strumenti ed un suono cupo, privo di appigli ritmici o melodici immediati, ma solitamente intrigante. Segnate quel “solitamente”, perché stavolta Threadgill ha peccato di logorrea. ‘In For A Penny, In For A Pound’ è infatti un doppio album: ogni cd presenta una lunga suite divisa in tre parti, di cui la prima è un breve prologo mentre le altre sono mastodonti dai dodici ai venti minuti, di volta in volta studiate per mettere in risalto un solista o un particolare sottinsieme di musicisti. Titoli come ‘Ceroepic (For Drums And Percussion)’ o ‘Trsepic (For Trombone And Tuba)’ chiariscono chi stia in primo piano, ma sarebbe disonesto a questo punto negare che, a conti fatti, le differenze siano davvero minime. E non è che la cosa cambi se prendiamo in esame le composizioni rimanenti. La combinazione di tuba, batteria e trombone rievoca il mondo di New Orleans, il violoncello (pizzicato o con l’archetto) fa da collante nelle frequenze medio-basse aggiungendo un colore africano, la chitarra di Liberty Ellman disegna le linee più vivaci ed affascinanti, mentre il leader, soprattutto al sax, interviene meno del solito. Sono gli Zooid che ben conosciamo, in fin dei conti, solo annacquati oltre il ragionevole.

E’ difficile mantenere l’attenzione in un disco così, dove le diverse voci strumentali si inseguono per durate estenuanti e prive di veri sussulti, in cui tutto cambia per restare lo stesso. Concentrare il meglio in un solo disco, probabilmente, avrebbe giovato e nemmeno poco.
(Negrodeath)

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