FREE FALL JAZZ

Gavin Harrison è un batterista rock molto quotato, noto ultimamente per le sue performance live coi King Crimson. Il suo nome resterà comunque legato per sempre a quello dei Porcupine Tree, la formazione inglese che forse più di ogni altra è riuscita a rilanciare il rock progressivo nel corso dell’ultimo quindicennio. Al momento i Porcupine Tree sono fermi a tempo indeterminato, così Harrison ha avuto l’idea di rileggerne alcuni brani con un’orchestra jazz. Queste operazioni sono, spesso e volentieri, agghiaccianti e pretenziose, come insegnano i mille e più album di versioni orchestrali di classici del rock. Harrison per fortuna non fa niente di abominevole: ‘Cheating The Polygraph’ è infatti un piacevole album per big band, un lussureggiante schieramento di trombe, tromboni e sax con l’aggiunta di tastiere, flauto, marimba e ovviamente basso e batteria. Questi ultimi, di netta impostazione rock, vanno come treni e imprimono notevole energia, ma per forza di cose sono completamente privi di qualsiasi groove e questo si riflette sull’orchestrazione, un ingranaggio ben funzionante ma piuttosto comune e un filino meccanico. Intendiamoci, i temi sono interessanti, la trasposizione delle linee cantate sulle varie sezioni è ben fatta e ci si diverte a seguire i botta e risposta, ma manca sempre qualcosa – troppo spesso sembra di ascoltare un ottimo esercizio di arrangiamento, scintillante ma un po’ vacuo.

Con un orecchio allo Zappa degli anni ’80, ma con meno estro metrico e ritmico, e un altro alle orchestrazioni di Henry Mancini e Lalo Schirfin, senza la stessa inventiva armonica e timbrica, il secondo album di Gavin Harrison va preso come il divertissement deluxe di un bravo batterista rock.
(Negrodeath)

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