FREE FALL JAZZ

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Oltre ad essere uno dei migliori trombonisti sulla piazza, e prova ne sia una carriera lunghissima e variegata che lo ha visto al fianco di Art Blakey, Dave Holland, Steve Coleman e moltissimi altri, Robin Eubanks è pure un rinomato professore di musica per il prestigioso Oberlin College. Per ‘More Than Meets The Ear’ Eubanks si è preso un anno di pausa dall’insegnamento, con lo scopo riarrangiare in chiave orchestrale nove brani scritti nell’ultimo trentennio. Con un cast di tutto rispetto, fra veterani (Lew Soloff), parenti (il fratello Duane), alcuni fra i migliori solisti emersi negli ultimi anni (Marcus Strickland, Lauren Sevian, Nate Smith, solo per citarne alcuni), e infine alcuni studenti dell’Oberlin, Eubanks costruisce un sound originale figlio di alcune delle esperienze chiave della sua storia di musicista, come Steve Coleman, i gruppi estesi di Dave Holland e il più recente SFJazz Collective. (Continua a leggere)

Il nuovo disco di Dino Betti Van Der Noot prosegue nel solco stilistico prediletto dal compositore, ovvero quella della composizione orchestrale per un ampio organico di venti strumenti. Il titolo in qualche modo prepara alle sonorità dell’album, perché per tutta la sua durata si respira un clima sospeso, a tratti onirico: l’abbondanza di cromatismi, l’alternanza dei metri e la meticolosa costruzione di masse di “vapore” sonoro su cui fluttuano liberamente i solisti è, in tal senso, determinante. E l’utilizzo di flauto, violino, digeridoo e dizi contribuisce ulteriormente al tratteggio di un panorama sognante, quasi fiabesco, che è la vera cifra stilistica dell’album. Il passo solenne, infine, getta un ponte (volontario o meno) verso il rock progressivo che fu, al punto che non di rado siamo più vicini ad una versione orchestrale del Canterbury Sound che al jazz vero e proprio. (Continua a leggere)

Konrad “Conny” Plank è un personaggio rinomato tra l’audience più alternativa della musica rock. È infatti alle sue doti come produttore e ingegnere del suono che si devono alcuni dei più importanti dischi del krautrock anni Settanta (tra i più famosi musicisti che si sono avvalsi spesso del suo talento vanno annoverati almeno NEU!, Kraftwerk, Cluster e Ash Ra Tempel), così come alcuni dei lavori che definirono la new wave e la musica elettronica tra gli anni Settanta e Ottanta, come Before and After Science e Music for Airports di Brian Eno, il debutto dei Devo e Vienna degli Ultravox.
I suoi rapporti con il jazz non sono stati altrettanto stretti, anche se proprio Nipples di Peter Brötzmann e The Living Music di Alexander von Schlippenbach furono i primi dischi cui abbia collaborato dietro le quinte nella sua carriera ventennale.

Proprio per questo, l’annuncio dato a inizio anno dall’etichetta Grönland riguardo l’esistenza di alcune registrazioni dell’orchestra di Duke Ellington dovute a Plank (risalenti all’estate 1970, rappresentando quindi il suo ultimo contributo in ambito jazz prima di concentrarsi sulla scena rock tedesca) ha suscitato un discreto clamore, anche per via di una notevole curiosità su cosa potesse saltare fuori da tali nastri vista la lontananza stilistica tra i due pesi massimi coinvolti.  (Continua a leggere)

Gavin Harrison è un batterista rock molto quotato, noto ultimamente per le sue performance live coi King Crimson. Il suo nome resterà comunque legato per sempre a quello dei Porcupine Tree, la formazione inglese che forse più di ogni altra è riuscita a rilanciare il rock progressivo nel corso dell’ultimo quindicennio. Al momento i Porcupine Tree sono fermi a tempo indeterminato, così Harrison ha avuto l’idea di rileggerne alcuni brani con un’orchestra jazz. Queste operazioni sono, spesso e volentieri, agghiaccianti e pretenziose, come insegnano i mille e più album di versioni orchestrali di classici del rock. Harrison per fortuna non fa niente di abominevole: ‘Cheating The Polygraph’ è infatti un piacevole album per big band, un lussureggiante schieramento di trombe, tromboni e sax con l’aggiunta di tastiere, flauto, marimba e ovviamente basso e batteria. (Continua a leggere)

L’Orchestra del 41° parallelo: un “viaggio orizzontale” al Civita Festival 

Venerdì 1 agosto al Civita Festival di Civita Castellana (VT) la seconda tappa del tour estivo dell’Orchestra femminile che compie il suo “viaggio orizzontale” tra i Paesi del 41° parallelo come Turchia, Stati Uniti, Grecia, Albania, Armenia, Bulgaria, Macedonia, Portogallo, Spagna, Italia Centro-Meridionale. Special guest, Isabella Mangani.

Il giovane trombettista Theo Croker, nipote di Doc Cheatham nonché protetto di Dee Dee Bridgewater (pure produttrice del disco) e Marcus Belgrave, ci tiene a sottolineare come la sua musica, se proprio vogliamo, è jazz, ma in realtà può essere anche altro vista l’ampiezza del suo background e delle sue influenze ed esperienze. ‘Afrophysicist’ in effetti non è un disco che si lasci incasellare in un semplice scaffale, e presenta una notevole varietà di situazioni. Il jazz di sicuro è presente, perché il modo di suonare di Croker è inconfondibilmente jazzistico, così come la preparazione della sua validissima band. ’Alapa (For Doc)’, dedicata all’illustre nonno, è due minuti di tromba priva di accompagnamento e costruisce un climax magnifico, su cui entra il primo vero brano, ‘Realize’.  (Continua a leggere)

Thad Jones e Mel Lewis misero insieme la loro orchestra di star nel 1965, con lo scopo dichiarato di riunire sotto un unico ombrello i linguaggi dello swing e dell’hard bop. Il sound poderoso e la freschezza di questa sottovalutatissima compagine testimoniano la riuscita dell’operazione, durata una buona dozzina d’anni. Oggi vi proponiamo un filmato televisivo del ’66, registrato per la trasmissione Jazz Casual.


Foto di DMV Comunicazione/Titti Fabozzi

Archie Shepp sull’afrocentrismo del jazz (o, per dirla con parole sue, di “quella parola inventata dai bianchi per descrivere l’esperienza afroamericana”) ha sempre avuto idee forti e non troppo inclini a compromessi. Fa strano vederlo dividere il palco con musicisti dall’epidermide tutt’altro che scura (bianchi che, citando la stessa intervista, “hanno imitato tutto dei neri”), per di più a suonare canzoni che con “l’esperienza afroamericana” non hanno proprio nulla a che spartire.

Grande apertura mentale o, più maliziosamente, professionista ben retribuito, ma quale che sia non ci interessa: non è un processo alle intenzioni il nostro, quanto un’analisi dei risultati. Il quartetto di Archie Shepp, come annunciato, si è infatti esibito all’ormai storico appuntamento di Pomigliano accompagnato dall’Orchestra Napoletana di Jazz cercando di imbastire un ponte tra due tradizioni antipodiche come la musica nera americana e la canzone classica partenopea (e, come vedremo, non solo). (Continua a leggere)

Come festeggiare venticinque anni di una delle migliori orchestre jazz del pianeta? Ma con un bel concerto, ovviamente! Tipo questo, in Portogallo, in occasione dell’illustre genetliaco!


Cliccate per ingrandire l’immagine qui sopra. Si tratta dell’orchestra di Ambrose Akinmusire, che ha suonato il 3 dicembre 2011 alla Carnegie Hall. Oltre ad Ambrose, ci trovate, fra gli altri, Sean Jones, Jason Palmer, Josh Roseman, Tia Fuller, Walter Smith III, Marcus Strickland, Dayna Stephens… Come ha detto Nico Toscani, “li morté, pare una formazione di fantacalcio. Esisteranno registrazioni di tanto ben di Satana?” Purtroppo neppure YouTube ci viene in soccorso, e quindi possiamo solo fantasticare. Ok, magari poi fa schifo, ma prevale un certo pregiudizio positivo, diciamo così. Consoliamoci con una bella notizia, risalente al 30 di luglio: Ambrose Akinmusire ha finito di registrare il suo nuovo album che verrà pubblicato agli inizi del 2014, nella sempre più diffusa formula del quintetto base + ospiti. (fonte)