FREE FALL JAZZ

big bands's Articles

Il nostro paese negli ultimi anni si è distinto in tanti settori dell’informazione per una narrazione tristemente falsante, iterata sino allo sfinimento, composta da annunci propagandistici, o esaltazioni pateticamente provinciali di limitatissime cerchie di personaggi. L’ambiente intorno alla musica, in particolare del jazz, non si è sottratto a questo genere di logica perversa, impedendo in tal modo ai fruitori di avere una rappresentazione della scena musicale internazionale più ampia e realistica. Gli U.S.A., e New York in particolare, sono da sempre il luogo dal quale emergono i più grandi talenti e le maggiori novità musicali in ambito di musica improvvisata, dove i musicisti, contrariamente a quanto accade da noi, sono soggetti ad una sana e serrata competizione, talvolta esasperata, ma utilissima in termini di fertilità artistica e creatività musicale. (Continua a leggere)

Gavin Harrison è un batterista rock molto quotato, noto ultimamente per le sue performance live coi King Crimson. Il suo nome resterà comunque legato per sempre a quello dei Porcupine Tree, la formazione inglese che forse più di ogni altra è riuscita a rilanciare il rock progressivo nel corso dell’ultimo quindicennio. Al momento i Porcupine Tree sono fermi a tempo indeterminato, così Harrison ha avuto l’idea di rileggerne alcuni brani con un’orchestra jazz. Queste operazioni sono, spesso e volentieri, agghiaccianti e pretenziose, come insegnano i mille e più album di versioni orchestrali di classici del rock. Harrison per fortuna non fa niente di abominevole: ‘Cheating The Polygraph’ è infatti un piacevole album per big band, un lussureggiante schieramento di trombe, tromboni e sax con l’aggiunta di tastiere, flauto, marimba e ovviamente basso e batteria. (Continua a leggere)

In un periodo dominato in ambito di musiche improvvisate da un termine abbastanza improprio e abusato come quello di “contaminazioni”, utilizzato per specificare, in modo peraltro approssimativo, l’attuale tendenza del jazz verso una commistione di generi diversi, ecco un musicista che davvero riesce a raggiungere in un tale ambito risultati musicalmente interessanti, senza mostrare pretenziosi e velleitari ”evoluzionismi”, o forzature di sorta, agendo con assoluta proprietà dei linguaggi di cui dispone e che, d’altra parte, quasi certamente risulterà misconosciuto alla gran parte dei jazzofili nostrani, per lo più presi oggi da superficiali eclettismi e proposte pseudo-jazzistiche, sempre più distanti dal contesto linguistico di riferimento, soprattutto sul piano ritmico. (Continua a leggere)