FREE FALL JAZZ

Con circa una mezza dozzina di uscite in trio o in quartetto all’attivo (‘Blurry’ del 2007 la migliore), il violoncellista Daniel Levin aveva già più d’una volta entusiasmato, smontando e rimontando a suo piacimento jazz e musica da camera, passando con disinvoltura da momenti canonici a fughe aritmiche più ardite. Su  ‘Inner Landscapes’ lo ritroviamo per la prima volta da solo, privo di qualunque accompagnamento, e, diciamolo subito, questa volta l’esperimento riesce solo a metà. I sei brani, completamente improvvisati, offrono una panoramica minuziosa di tutte le sfaccettature stilistiche del musicista americano: abbozzi melodici, improvvisazioni free jazz, musica classica, cascate di note al limite del vero e proprio rumore bianco. Per quanto Levin si sforzi apprezzabilmente di rendere il tutto quanto più vario e imprevedibile, a inficiare il lavoro sono i 55 minuti di durata, decisamente troppi (a meno che non siate voi stessi dei violoncellisti e in tal caso ci sarebbe ottimo pane per i vostri denti tra queste note, anche qualora vogliate ascoltarlo solo per curiosità tecnica). Di sicuro i momenti migliori entusiasmano (in particolare la conclusiva ‘Landscape 6’, forse la più “minacciosa” del lotto), ma ‘Inner Landscape’ resta un disco non per tutti, che facilmente potrebbe risultare indigesto se non assunto a dosi relativamente piccole. Il consiglio è di entrare nei “paesaggi” di Daniel Levin gradualmente, magari partendo proprio da un album come ‘Blurry’ se siete a digiuno. Vi conquisterà. (Nico Toscani)

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