FREE FALL JAZZ

Nell’accogliente sala del Teatro del Gavitello il pubblico italiano ha potuto assistere ad una prima di assoluta rilevanza. Non solo Devin Paglianti viene per la prima volta in Italia, ma lo fa presentando in esclusiva un suo personalissimo, inedito progetto destinato a squadernare per sempre i meandri della musica per come la comprendiamo oggi. Le usuali dicotomie scritto-improvvisato, intenzionale-casuale infatti sono annullate interamente nel suo rivoluzionario The Tombola Conduction. Già, tombola: Devin Paglianti, come testimonia il cognome, è di origine italiana (provincia di Pistoia, per la precisione) e ricorda con affetto le tombole di S.Stefano organizzate da nonna Ilva con tutti i parenti, quando era ancora un bambino nel New Jersey. E proprio in vista del suo primo concerto in Italia, Paglianti ha elaborato il rivoluzionario sistema di conduction basato sulla tombola: ognuno dei settanta musicisti (trombe, sax, tromboni, chitarre, quartetto d’archi, vibrafono, percussioni, batteria, laptop ed oggetti microfonati e filtrati da quest’ultimo) dispone di una cartella della tombola, i cui numeri vengono estratti dal compositore. Ogni volta che un musicista trova un numero sulla sua scheda, reagisce in autonomia. Quando fa terna, cinquina o tombola, la reazione è contemporanea a quella di altri due, quattro o quattordici colleghi adiacenti – nasce così una composizione dialogica ed istantanea all’interno del più ampio lavoro orchestrale in corso, in un emozionante duello. Paglianti estrae un nuovo numero a sua discrezione, ma nemmeno lui sa l’esito finale della sua estrazione, né lo sanno i musicisti, che hanno solo provato alcune combinazioni possibili. In questo modo tutte le arcinote gerarchie leader-musicisti-composizione-scrittura-opera sono completamente annullate. Molti i momenti di sincera emozione ed impegno intellettuale: la terna di John Philis, Ed Pingstack e Larry Gargiulo origina una supernova di accordi puntuti che va rigando artigliescamente l’intrico anguillesco di oboe e controfagotti ordito con tanta pazienza dell’ora e mezzo precedente dalle apposite sezioni; la radiosa infruttescenza di prelibati arpeggi iridescenti intessuti da vibrafono, tromboni e ottavini gocciola trillanti meraviglie di dissonanza melodica lungo la tombola contemporanea di Fanny Ingridson e Roy Wayne Farris; e, unica concessione a concezioni vagamente jazzistiche (quasi un affettuoso omaggio a nonni musicali ormai vecchi e cari che hanno però fatto il loro tempo) è stato percepibile nell’assolo di frullatore amplificato, che ha citato con arguzia vari lick di Roscoe Mitchell. Ad un pubblico distratto, impaziente, volgarotto e di palato grossolano, queste sei ore (suddivise in quattro tombolate) possono sembrare nient’altro che un drone ininterrotto di suoni omogenei in cui solo occasionalmente si riesce a percepire qualche minima indicazione di moto armonico o ritmico, qualche caramellosità melodica, qualche trine e merletto d’orecchiabilità. Bene, tutta questa gente si perde, va da sé, l’evoluzione stessa del concetto di musica, quella meritevole di essere incisa su un cd in titanio ed inserita in una sonda spaziale per rappresentare i traguardi dell’umanità. Il turbamento estetico prodotto da una simile performance è in grado di destabilizzare permamentemente le percezioni spaziale e temporali di chi ascolta, in maniera affatto dissimile dalla lettura del ‘Re Il Giallo’ nell’omonima raccolta di racconti di Robert William Chambers. Fortunatamente il pubblico in sala, numeroso grazie al prezzo contenuto (dieci euro di biglietto, con consumazioni illimitate), ha dimostrato di gradire la performance e, molto probabilmente, tornato a casa avrà dato alle fiamme una ormai inutile collezione di dischi. Devin Paglianti si conferma il più rivoluzionario e importante musicista del nostro tempo, alla faccia di tutti i patetici reazionari ignoranti che infestano l’ambiente.
(Negrodeath)

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